Ti spiego perché la guardalinee ferita ha scatenato una tempesta di commenti sessisti

I feroci commenti sessisti alla foto pubblicata sull'account Instagram della Gazzetta dello Sport confermano solo un dato in negativo: esattamente come nell’ambito lavorativo e nelle occupazioni della vita quotidiana, anche nello sport le donne subiscono ancora pesanti pregiudizi secondo cui sarebbero meno adatte a determinate discipline

Vedi che succede ad uscire dalla cucina”, “In cucina al massimo si tagliava un dito”, “Mancanza di visione laterale. Tanto per ricordarci che uomini e donne non sono uguali”. Ho passato gli ultimi 15 minuti della mia mattinata a fare screenshot di commenti aberranti. A un certo punto la scommessa era scovare il meno peggio e, notiziona, non c’è.

Se, dopo che ha fatto il giro del web, l’immagine della guardalinee Porras con una maschera di sangue al posto del viso mirava, non volendo, a scatenare i misogini seriali che si nascondono dietro a uno schermo, beh, ci è riuscita alla grande.

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C’era da aspettarselo? Sì, probabilmente sì, ma il nostro esercizio di oggi sta nel non abituarci a queste cose. Il punto infatti, menomale, è che noi rimaniamo sempre così: stupiti da tutta questa cattiveria, maschilismo allo stato puro, di uomini che magari due mesi fa chiedevano giustizia per Giulia Cecchettin e che poi si palesano nella loro sconvolgente misoginia, cavalcando pregiudizi che nemmeno i miei nonni.

Cosa è accaduto

L’immagine sotto alla quale si è scatenato il putiferio al testosterone è davvero impressionante: la guardalinee spagnola, Guadalupe Porras, sul campo di gioco Betis-Athletic Bilbao, mentre correva per seguire un’azione si è schiantata contro una telecamera, ferendosi rovinosamente, tanto che ha dovuto essere sostituita dal quarto uomo. Un volto pieno di sangue e, sotto, (quasi) solo un commento unanime: sei una donna, cosa ci si poteva aspettare?

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Costretta quindi, sanguinante e “auto-feritasi”, a lasciare il campo dopo appena 15 minuti di gioco, la sua immagine è stata il campo di un’altra battaglia: tanto è bastato, infatti, per far sentenziare agli utenti più beceri che “le donne dovrebbero stare a casa a fare la sfoglia” e che sì, dai, “per queste cose il calcio di uomini deve essere arbitrato solo da uomini”. Commenti dopo commenti, accompagnati, se è peggio, da un numero elevato di like:

commenti post GdS

Eccolo qui il nocciolo della questione: il calcio, e lo sport in generale, è affare di uomini (di super machi, meglio, tutto tattiche e schemi), meglio che le donne non si accostino nemmeno, femminucce che farebbero meglio a darsi alla maglia.

Quei commenti sotto all’immagine della Porras sono il chiaro segnale che i pregiudizi sul ruolo delle donne nel mondo dello sport, in particolare nel calcio, sono ancora profondamente radicati. Sono quei commenti che, ancora e ancora una volta, riflettono una mentalità arretrata e appiattita, che associa erroneamente le donne a ruoli tradizionalmente domestici e non riconosce il loro valore e la loro competenza nel contesto sportivo.

Lo dice bene uno studio dell’anno scorso: “Le donne, il lavoro e lo sport” commissionata da eBay, partner della Divisione Calcio Femminile FIGC, all’istituto di ricerca Human Highway, mette in luce l’opinione degli italiani sul tema “donne e calcio” e le attività tradizionalmente considerate “maschili”.

Nonostante una donna su tre si dichiari appassionata di calcio, questo sport viene di fatto ritenuto più “maschile” da quasi il 40% degli italiani e uno su dieci ancora oggi si prenderebbe gioco di una donna calciatrice. Opinioni espresse in maggioranza da uomini, che si dichiarano meno favorevoli perché ritengono che il divario di gioco fra uomini e donne nel calcio sia enorme.

Tra questi, uno su tre ritiene che il calcio sia uno sport storicamente maschile; per uno su cinque il calcio femminile è considerato lento e noioso, perché il fisico femminile è meno potente e uno su dieci pensa che il campo da calcio sia troppo grande per le condizioni atletiche di una donna.

La cosa che dovrebbe farci più riflettere è che l’effetto dei pregiudizi ha un impatto più forte sulla fascia più giovane degli intervistati (18-35 anni): uno su quattro cercherebbe di far cambiare idea a una bambina che mostra passione per il calcio per paura che possa subire qualche forma di discriminazione.

Ecco, insomma, questi sono numeri che segnano la strada giusta per tornare indietro, nel Medioevo. O, forse, quei numeri e quei commenti sotto al post della GdS spiegano che effettivamente dal Medioevo non ci siamo mai allontanati, complici la cultura centrata sul binomio sport/uomo, la mancanza di empatia e quel substrato di ignoranza che – volenti o nolenti – sta sempre più emergendo e alimentando. Viviamo in un momento in cui la povertà educativa che abbiamo attorno è devastante, in cui attira molto di più lo scrollo rapido e solitario dei video di TikTok che una chiacchierata costruttiva con qualcuno, in cui siamo distratti dai fenomeni degli influencer, che ci rubano tempo ed energie che noi (e i nostri ragazzi) potremmo dedicare a un buon libro.

Mentre le tecnologie vanno inesorabilmente avanti, noi non siamo al passo. Non abbiamo gli strumenti per tenerle a bada, per capire dove è giusto fermarsi e fare una riflessione: molto più semplice scrivere a raffica commenti sotto a un post che frenare quell’istinto e ragionare su un punto, molto più semplice seguire la massa degli odiatori che accendere il proprio cervello.

È giusto? È lecito? Chi sono io per sentenziare ciò che un essere umano sia abile a fare o meno? Silenzio, gente, oggi i commenti sotto all’immagine di Guadalupe Porras devono necessariamente essere qualcosa cui non dobbiamo abituarci. Eh sì, caro utente Instagram, come dici tu “uomini e donne non sono uguali”. Non abbiamo mai voluto esserlo. Prentendiamo solo uguali diritti, nulla di più.

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