Voce e volto della protesta contro i diritti negati alle donne. La storia di Sonita è diventata un documentario, le sue canzoni in rima raccontano le difficoltà e l’angoscia di quante non sono riuscite a vivere libere e istruite
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Ha rischiato di diventare una delle tantissime spose bambine per ben due volte: la prima all’età di 10 anni e la seconda 6 anni dopo. Ma la vita per Sonita Alizadeh aveva in serbo altro per lei come la musica e la possibilità di diventare la portavoce di quante non hanno la possibilità di esprimere un’opinione, di decidere del loro futuro, di essere viste e apprezzate proprio perché donne.
Fuga dall’Afghanistan
La storia di Sonita Alizadeh inizia in Afghanistan nel 1997, a Herat. Qui all’età di 10 anni poteva essere venduta a un uomo molto più grande lei, diventare una sposa bambina e essere inghiottita in un’esistenza di silenzi. Le nozze saltano.
Per sfuggire ai Talebani la famiglia fugge verso l’Iran, un lungo viaggio a piedi tra pioggia e neve che finisce con la permanenza in un campo profughi. A Tehran la giovane deve lavorare per sopravvivere, è senza documenti e non può andare a scuola.
La madre torna in Afghanistan, lei invece resta e scopre la musica rap, si appassiona alle rime dell’iraniano YAS e poi di Eminem, alle canzoni e all’attitudine di Rihanna.
Tra documentari e matrimoni combinati
Comincia a scrivere le prime canzoni e gira i videoclip con il cellulare. Nel 2014 Alizadeh partecipa a un concorso statunitense: scrivere una canzone utile a convincere gli afgani a votare alle elezioni. Vince 1.000 dollari che invia alla madre.
Tramite un’amica incontra la regista Rokhsareh Ghaem Maghami per introdurla al mondo musicale underground iraniano, poiché alle donne non era permesso cantare da sole o incidere un disco.
Rokhsareh per tre anni segue la ragazza da dietro l’obiettivo della sua telecamera, la sua crescita e l’evoluzione musicale, l’incontro con la madre alla soglia dei 16 anni. Una visita non di cortesia, ma per dirle che sarebbe stata venduta per 9.000 dollari a un uomo più grande:
Ho una famiglia da sfamare.
Quanto costa la libertà?
La regista offre 2.000 dollari alla donna per comprare altro tempo e libertà a Sonita, che nel frattempo scrive Daughters for Sale per denunciare la condizione femminile e il dramma delle spose bambine:
Lascia che ti sussurri le mie parole. Così nessuno sente che parlo della vendita delle ragazze. La mia voce non deve essere ascoltata, è contro la sharia. Le donne devono restare in silenzio. Questa è la tradizione.
Una nuova vita in un altro Paese
Il video, diretto dalla Maghami, diventa virale e attira l’attenzione dell’associazione Strongheart Group che riesce a portare la ragazza negli Stati Uniti con una borsa di studio. In silenzio Sonita si dirige verso la nuova vita e comunica con la famiglia via Skype solo a cose fatte.
L’anno successivo, nel 2016, il documentario Sonita viene accolto in molti festival come il Sundance dove vince il Gran Premio della Giuria e quello del Pubblico.
Una voce per i diritti delle donne
Sonita vive negli Stati Uniti dove continua a fare musica e studia al Bard College di New York. È diventata una voce potente che denuncia la pratica ancora molto diffusa dei matrimoni combinati per le bambine così come la condizione femminile privata di ogni diritto.
L’8 marzo 2016 è stata inserita nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano. È stata fotografata per il Calendario Lavazza 2022, è diventata ispirazione per il murales realizzato dalla scuola media di Rosolina, le sue rime fanno da sfondo sonoro alla mostra con le foto di Steve McCurry For Freedom al Palazzo Reale di Palermo.
Esiste una raccolta fondi in favore della famiglia della giovane donna perché il suo attivismo non è ben visto in patria. La vita di sorelle e di alcune amiche non è all’insegna della libertà ma si svolge dietro un velo e nel disagio di un società repressiva.
Secondo i dati raccolti dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) il numero dei matrimoni precoci sta diminuendo: nell’ultimo decennio ne sono stati impediti 25 milioni. All’inizio del 2000 una donna su tre, tra i 20 e i 24 anni, è stata venduta in sposa da bambina. Nel 2021 era una su cinque.
Ma si è ancora lontani dalla loro messa al bando: per l’associazione sono oltre 30mila le bambine che ogni giorno vengono private di infanzia e diritti per diventare una merce di scambio per soldi e un po’ di cibo.
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Fonte: Girls not bride/ UN Population Fund/GoFundMe
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