Sono passati 50 anni da quando è stato condotto lo studio sulla sifilide di Tuskegee, una delle pagine più buie della storia che ha tolto dignità al popolo afroamericano, ingannato e lasciato morire
Gli anni della schiavitù afroamericana rappresentano una delle pagine buie della storia, ma forse in pochi sanno che c’è un altro episodio che ha tolto la dignità a un interno popolo. Parliamo del cosiddetto studio sulla sifilide di Tuskegee, passato poi agli annali come ‘lo studio più infame nella ricerca biomedica degli Stati Uniti’, ecco perché.
Nel 1932, l’USPHS, il servizio sanitario pubblico statunitense in collaborazione con il Tuskegee Institute, inizia uno studio per registrare la storia naturale della sifilide. Originariamente chiamato “Studio Tuskegee sulla sifilide non trattata nel maschio negro”, altro non è che una serie di esperimenti su esseri umani afroamericani non consenzienti e ignari del pericolo, usati come cavie per capire l’evoluzione della sifilide.
I ricercatori coinvolgono inizialmente 600 uomini neri, 399 affetti da sifilide, 201 sani. Alcuni sono ex schiavi o figli di schiavi provati dalla vita nelle piantagioni di cotone: lunghe giornate di lavoro, poca conversazione, nessuna tutela e nessun diritto, abusi sessuali, percosse fisiche e violenze psicologiche che ben racconta Colson Whitehead ne La Ferrovia sotterranea.
La protagonista del libro, tra le pagine si imbatte proprio nel cosiddetto ospedale dei neri, dove alle donne che non sono ‘purosangue’ viene fatto il lavaggio del cervello per abortire in caso di gravidanza, mentre agli uomini viene fatto credere che debbano curarsi il ‘sangue cattivo’.
Cos’è il sangue cattivo? Un termine locale usato all’epoca per descrivere diversi disturbi, tra cui sifilide, anemia e affaticamento, ma anche epatite B e mononucleosi tre cose ben diverse tra loro. Uomini, insomma, che entrano in ospedale convinti di doversi curare ed escono dentro una bara.
Nessuno di questi afroamericani firma un consenso informato o è consapevole di essere oggetto di un esperimento. In cambio della ‘cura’ gli uomini ricevono esami medici e pasti gratuiti e un’assicurazione sulla sepoltura. Tutte cose che un ex schiavo negli anni Trenta negli Stati Uniti non può neanche sognarsi.
In quegli anni, a Tuskegee (Alabama), circa il 40% degli abitanti soffre di sifilide, una malattia sconosciuta alla popolazione che non era a conoscenza della trasmissibilità dell’infezione e non aveva nessuna tutela sanitaria.
I ricercatori del servizio sanitario pubblico statunitense decidono che gli uomini afroamericani sono il campione perfetto per studiare la sifilide. Gli ex schiavi sono considerati intellettualmente inferiori rispetto ai bianchi, sono poveri quindi facilmente ricattabili e analfabeti. Inizia un vero e proprio lavaggio del cervello: insegnanti, anziani, medici, figure ecclesiastiche spiegano quanto sia importante curarsi dal ‘sangue cattivo’.
C’è perfino una campagna pubblicitaria con volantini che promuovo analisi del sangue gratis. Il lungo calvario degli afroamericani inizia con cure periodiche a base di mercurio e arsenico, con iniezioni inutili che portano solo effetti collaterali devastanti e tanta sofferenza. Già perché affinché l’esperimento potesse essere attendibile, i malati non dovevano ricevere nessuna terapia di cura.
Eppure, nel 1943, la penicillina era il trattamento di scelta per la sifilide e stava diventando ampiamente disponibile , ma ai partecipanti allo studio non fu offerto un trattamento. Solo negli anni Settanta, il panel di ricercatori definisce lo studio come ‘eticamente ingiustificato’.
Nel 1973, i familiari di alcune delle vittime hanno intentato un’azione legale collettiva contro il servizio sanitario, ottenendo un accordo extragiudiziale di 10 milioni di dollari. E anche se nel 1997 l’allora presidente Clinton ha chiesto scusa per lo studio, nessuno può cancellare questa terribile pagina della nostra storia fatta di diritti violati e di tanta sofferenza generazionale.
Fonti: Project Muse/Apnews/CDC
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