“Se indossi i pantaloni, sei lesbica”. Quando gli stereotipi di genere sono spacciati come trend sexy nella moda

Dalla Grande Mela arriva l’elogio alla moda che si appropria e sdogana gli abiti “identificativi” della cultura lesbica. Ma siamo sicuri che invece non sia un atteggiamento che alimenta gli stereotipi?

Sentiamo spesso dire che i vestiti possono essere scelti e utilizzati come statement o affermazione di un pensiero o della propria personalità. Allo stesso tempo possono raccontare molto della società e di come si contribuisca a mantenere nel tempo gli stereotipi che non aiutano il percorso verso una società più inclusiva.

Moda lesbo, il new sexy?

Da settimane negli Usa si sta discutendo sullo sdoganamento della moda lesbica in una società omofobica.

A parlare diffusamente è Jill Gutowitz, autrice del libro Girls Can Kiss Now, che ha iniziato a notare come le ragazze hot del mondo dello spettacolo – da Kristen Stewart a Bella Hadid fino alla giovane Zendaya – abbiano contribuito a sdoganare un uso smodato di jeans comodi, mocassini, anfibi abbinati a calzettoni e bermuda, giacche in pelle, magliette extra large veicolando le scelte della moda dai red carpet al tempo libero. La moda saffica è diventata sexy.

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La Gutowits ha affermato:

Vedere la moda lesbica elevata mi ha incoraggiato, sia per pura gioia che per puro dispetto, a diventare la lesbica più lesbica che sia mai stata lesbica.

Su ciò che l’autrice sente e percepisce non diciamo nulla poiché sono sensazioni personali ma viene da chiedersi se tutto questo “movimento” non sia invece autolimitante e basato su stereotipi che dovrebbero progressivamente sparire.

Necessità di normalizzare una società altamente stereotipata

La moda, che piaccia o meno, ha sempre tratto ispirazione da movimenti culturali o musicali e da tendenze che erano di nicchia prima di diventare popolari, ha sempre preso ispirazione per rivisitare tendenze del passato.

Ma la moda è anche gioco e capacità di mescolare generi per provare anche a normalizzare una società che vive per schemi. Non vuol dire che non debbano esistere collezioni per donne e per uomini ma occorre avere una minore necessità di incasellare le persone.

https://www.instagram.com/p/CbKuYcXME-t/

Eppure, sebbene in tantissimi ci si definisce moderni e liberi nel pensiero, l’indignazione mascherata da stupore per le unghie smaltate di Fedez è ancora fresca.

Così come lo spaesamento per il modo di vestirsi di Harry Style è ancora palpabile al pari delle mise scelte per le apparizioni di Mahmood per alcune performance perché rendono incapaci ti incasellare questi artisti.

Rosa e blu, dimmi a quale genere appartieni tu

Tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso inizia l’associazione colore-sessualità: il blu è il colore del business e quindi è destinato a identificare uomini e tutto il guardaroba maschile. Il rosa, che fino a pochi anni prima era normalmente utilizzato per i bambini, diventa il simbolo della delicata sfera femminile e del mondo casalingo.

Accanto a questo, il marketing di molte aziende ha offerto il suo contributo tanto che negli ultimi 10 anni si è parlato tantissimo di Pink Tax ovvero di quelle “tasse invisibili” che si nascondono in differenze di prezzi per articoli della stessa tipologia che colpiscono le donne dai prodotti per l’igiene della persona all’abbigliamento e mettono quindi le donne nella condizione di dover spendere di più, circa il 13% in più. E questo accade ovunque.

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FONTI: Dressing Dykes/Università di Toronto

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