Siamo abituati a respingere il dolore, a nasconderlo, a vergognarcene. Invece la "saudade", intraducibile parola portoghese, ci insegna a volergli bene, ad accettarlo come parte integrante della vita
Ci sono stati d’animo difficili da tradurre in parole e ci sono parole che li esprimono in modo così cristallino da non avere bisogno di alcuna spiegazione. Saudade è una di queste.
In italiano non esiste un termine equivalente e solitamente viene descritta come una sensazione di nostalgia e malinconia nei confronti di qualcosa o qualcuno. Una sensazione di presenza dell’assenza che si prova pensando a persone, luoghi, odori, situazioni appartenenti al passato. Un desiderio di qualcosa che non esiste nel presente, che ha a che fare con la tristezza ma anche con un desiderio sognante e un po’ indolente.
Un sentimento, come lo definisce il dizionario Treccani, – di nostalgico rimpianto, di malinconia, di gusto romantico della solitudine, accompagnato da un intenso desiderio di qualcosa di assente (in quanto perduto o non ancora raggiunto) -.
Ma da dove arriva questa strana e affascinante parola? Dal portoghese “soledade”, e tornando più indietro nel tempo dal latino “solitas”, il cui significato è solitudine. Anche se la saudade, come già detto, è molto più di questo perché nella sua complessità include tante sensazioni simili e diverse, per lo più improntate allo struggimento.
Fu il movimento letterario del Saudosismo a renderle onore trasformandola in un simbolo dell’identità portoghese. Anche se nel 1940 lo scrittore brasiliano Osvaldo Orico differenziò la saudade del Portogallo da quella brasiliana, a suo dire più allegra che triste, – che non piange ma canta -.
La cosa bella della saudade è che anziché nascondere il dolore dietro a un sorriso forzato, lo porta alla luce, incoraggiandoci ad accettarlo come parte integrante della vita. Lo abbraccia anziché respingerlo.
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FONTI: Medium/Portugalist
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