Dopo più di cinquant'anni, la montagna del Nanga Parbat restituisce ancora tracce della tragedia che vide morire lo scalatore Günther Messner
Nel giugno del 1970, ormai più di cinquant’anni fa, i fratelli Reinhold e Günther Messner tentarono la scalata della nona montagna più alta del mondo, il Nanga Parbat, un massiccio montuoso del Kashmir (Pakistan) la cui vetta più elevata raggiunge gli 8126 metri.
Dopo aver raggiunto la vetta più alta del massiccio, il 27 giugno, i due fratelli iniziarono la discesa ma furono travolti da una valanga di neve e ghiaccio dalle conseguenze tragiche: Gunther precipitò dalla parete rocciosa, morendo, mentre Reinhold tornò a valle dopo una settimana in evidente stato di ipotermia.
Una vicenda drammatica i cui echi si possono udire ancora oggi, a quasi cinquantadue anni di distanza da quei giorni: è stato ritrovato infatti il secondo scarpone di Günther, ancora conservato nella neve grazie alle temperature gelide.
È Reinhold Messner, ancora scalatore nonostante in quell’impresa abbia perso alcune dita dei piedi, a diffondere la notizia attraverso il proprio profilo Instagram, condividendo una fotografia dello scarpone.
Negli anni il fratello superstite ha dovuto subire pesanti accuse (non formali) da parte dell’opinione pubblica, che lo ha ritenuto responsabile dell’abbandono e della morte del fratello. Queste accuse hanno pesantemente condizionato la vita di Reinhold, che è arrivato addirittura a dubitare di se stesso, e a chiedersi se non avesse potuto fare nulla di più per salvare il fratello precipitato.
Ma già nel 2005 la montagna aveva restituito parte del corpo di Günther e l’altro scarpone, permettendo di iniziare a far luce su una delle vicende più toccanti della storia dell’escursionismo. I resti di Günther erano stati cremati proprio nei pressi del Nanga Parbat, alla presenza di Reinhold e degli altri fratelli.
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Fonte: Reinhold Messner