Una pratica antica, che possiamo rintracciare nelle tradizioni spirituali di tutto il mondo, oggi sempre più popolare anche in Occidente. Scopriamo perché l'oscurità fa bene...
Avete mai sentito parlare del “ritiro al buio”, anche noto come “Dark Room Retreat” o “Dark Retreat”? Consiste nel trascorrere diverse ore, o persino giorni e settimane, nella più completa oscurità, in modo da favorire uno stato meditativo di profonda introspezione.
Vivere una simile esperienza può risultare destabilizzante per chi non è abituato, il buio infatti tende a suscitare inquietudine e a metterci a disagio, ma d’altronde è proprio questo l’obiettivo: “spogliati” di tutto siamo più predisposti a lasciarci andare e a riconnetterci con la nostra essenza.
Questi ritiri stanno diventando sempre più popolari anche in Italia, ma la meditazione nell’oscurità è una pratica antica, che possiamo rintracciare nelle tradizioni spirituali di tutto il mondo. Diffusa tra i monaci del buddismo tibetano, che si ritiravano per lungo tempo nelle grotte, tra i Lama del Tibet, tra i mistici francesi del XV secolo. In Occidente si parla anche di “terapia oscura”, che a quanto pare venne introdotta negli anni ’60 in Germania dall’antropologo Olger Kalweit, con il nome di Dunkeltherapie.
Quali sono i suoi benefici? Oltre a favorire l’introspezione e una maggiore auto-consapevolezza, concilia il rilassamento e riduce lo stress. Inoltre, sebbene i dati scientifici siano limitati, l’oscurità stessa sarebbe in grado di organizzare e stabilizzare i ritmi circadiani.
I ritiri al buio vanno però scelti e affrontati con cautela, soprattutto quelli di lunga durata, perché possono far emergere sentimenti, pensieri e ricordi difficili da elaborare. Nella più profonda oscurità non possiamo distrarci e trovare delle vie di fuga, ma siamo costretti a confrontarci con tutto ciò che arriva dalla nostra interiorità. Di brutto e di bello! Avete mai fatto questa esperienza?
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FONTI: Mind-help/Dark retreats/NIH/The Atlantic
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