Stabilita una quota del 40% del sesso sottorappresentato (ovvero le donne) tra gli amministratori non esecutivi e del 33% tra tutti gli amministratori. Quello che però occorre è un cambiamento culturale, che nessuna legge potrà imporre. Le quote rosa non bastano...
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Lo aveva detto Ursula von der Leyen che il 2022 sarebbe stato l’anno buono per sbloccare la situazione di stallo che impediva l’approvazione di una legge comunitaria volta a aumentare la percentuale delle donne nei consigli di amministrazione.
E infatti nella serata del 7 giugno è arrivata l’intesa tra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue sulla nuova direttiva Women on boards che ha come fulcro l’equilibrio della rappresentanza di genere. Un’azione che rientra nella strategia dell’UE per l’uguaglianza di genere 2020-2025 che ha tra gli obiettivi quelli di un’Unione in cui tutti i cittadini abbiano pari opportunità.
La necessità delle quote rosa
Il balletto di stop-and-go era iniziato nel 2012 quando il mondo, per alcuni versi, era ben diverso da quello che conosciamo oggi. Ad eccezion fatta di una legge che scrivesse, nero su bianco, la necessità per i consigli di amministrazione di diventare più equi nella rappresentanza di genere. Oggi in Europa il 60% dei laureati sono donne, sono solo un terzo dei membri dei consigli di amministrazione non esecutivi, ancora meno la presenza nelle posizioni apicali.
La direttiva fissa l’obiettivo per le società dell’UE quotate nelle borse dell’UE di accelerare il raggiungimento di un migliore equilibrio di genere. Stabilisce una quota del 40% del sesso sottorappresentato tra gli amministratori non esecutivi e del 33% tra tutti gli amministratori
Selezioni trasparenti
Le procedure di nomina dei consigli di amministrazione dovranno essere chiare e trasparenti affinché tutti i candidati siano valutati oggettivamente sulla base dei loro meriti.
La selezione per individuare gli amministratori non esecutivi dovrà rispettare alcune regole. Tra due candidati di sesso diverso qualificati pari merito, la preferenza andrà al candidato del sesso sottorappresentato. Se si richiede di conoscere i criteri adottati in fase di selezione si deve poter avere accesso a queste informazioni.
Le imprese che non riescono a raggiungere l’obiettivo della equa rappresentanza dei sessi devono riferire le motivazioni e le misure che stanno adottando per cambiare questa situazione. Previste anche sanzioni per gli Stati membri per le società che non rispettano gli obblighi di selezione e rendicontazione devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
Donne nei Cda in Italia
Il rapporto 2021 Women in the boardroom: a Global perspective pubblicato da Deloitte, traccia un quadro abbastanza virtuoso dell’Italia in termini di presenza femminile nei Cda: 36,6 per cento, contro una media europea del 30,7. Solo Norvegia e Francia fanno meglio ma sono due paesi che hanno avviato questo processo con anticipo. Peccato però che a ben guardare gli amministratori delegati continuano a essere quasi esclusivamente uomini.
Nel report realizzato da Consob e Banca d’Italia La partecipazione femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società italiane emerge come
nei settori senza vincoli sulla composizione di genere, la quota delle donne negli organi amministrativi è rimasta stabile (nelle società private) o è cresciuta in misura modesta (nelle banche) arrivando nel 2019 al 24 e al 17 per cento, rispettivamente. (…) La minore presenza di donne negli organi amministrativi delle società a controllo pubblico rispetto alle società quotate è in parte attribuibile alla diffusione tra le prime di numerose società con amministratore unico (38,6 per cento del totale nel 2019). In tali società solo il 10,4 per cento degli amministratori sono donne, mentre in quelle con un consiglio di amministrazione queste ultime sono il 27,4 per cento dei componenti.
Donne in tech
La tecnologia ha spesso permesso a molte donne di diventare imprenditrici o di essere al vertice di nuove aziende. Inoltre da tempo si sta cercando di promuovere l’avvicinamento tra il mondo femminile e quello delle professioni STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) ma l’indagine condotta da Women for Security Lab restituisce un quadro nel settore della cyber sicurezza.
Su un campione rappresentativo di 222 professioniste, quasi totalmente di nazionalità italiana, tra i 26 e i 65 anni. Il 55% delle intervistate sono laureate, di queste il 31% ha conseguito una specifica formazione post-laurea. Nel 39% dei casi affermano di ricevere una retribuzione pari a quelle degli uomini. L’ambiente lavorativo è prevalentemente maschile: per il 21% è indifferente a questa situazione, per il 23% la vede come una sfida.
Quello che emerge è un’Europa a più velocità ma soprattutto è evidente che, fatta una legge da armonizzare nei 27 paesi membri, occorre un cambio di passo culturale affinché diventi normale avere un’equa rappresentanza di genere nelle aziende, di qualunque tipo e a qualsiasi livello.
E lo sappiamo, le quote rosa non bastano affatto.
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Fonti: Commissione Europea/Deloitte/Banca d’Italia
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