A 160 anni dalla nascita della prima giornalista di inchiesta della storia, Giulia Innocenzi, con il documentario "Food for Profit", dimostra che il giornalismo investigativo può ancora cambiare il mondo, ispirando azioni collettive e dibattiti sociali
Coraggio, determinazione, lotta contro le ingiustizie, in un mondo non ancora pronto ad accogliere le donne ma che, anzi, le rinchiude nei manicomi. Questa è la storia di Nellie Bly, la prima giornalista d’inchiesta della storia, che ha rotto le barriere, aprendo la strada a tante altre donne alla ricerca della verità.
Nellie Bly, il cui vero nome era Elizabeth Jane Cochran, nasce nel 1864 in Pennsylvania. La sua carriera giornalistica inizia quasi per caso, quando, in risposta a un articolo sessista pubblicato dal “Pittsburgh Dispatch”, scrive una lettera al direttore difendendo i diritti delle donne. Colpito dalla sua abilità di scrittura, il direttore la invita a unirsi alla redazione e a scegliere uno pseudonimo.
Fin da subito, si distingue per la sua passione e il suo approccio audace alle notizie, caratteristiche che la porteranno a diventare una delle figure più iconiche della stampa mondiale.
Il coraggio dell’inchiesta a Blackwell’s Island
La svolta nella carriera arriva nel 1887, quando, a soli 23 anni, si infiltra nel manicomio femminile di Blackwell’s Island, fingendo di essere mentalmente instabile. Lo fa per denunciare le condizioni disumane in cui venivano trattate le donne rinchiuse in quell’istituto. Il suo reportage, pubblicato sul “New York World”, sconvolge l’opinione pubblica e porta a riforme immediate nel sistema di assistenza per i malati mentali. Bly dimostrò in questo modo che le donne non solo potevano essere giornaliste di successo, ma che erano capaci di condurre inchieste coraggiose, rischiando in prima persona per far emergere la verità.
La sua audacia, da quel momento in avanti, ha aperto la strada a generazioni di donne che, grazie a lei, hanno potuto immaginarsi in una redazione, non come segretarie o dattilografe, ma come reporter d’inchiesta, pronte a denunciare le ingiustizie e a dare voce a chi non ce l’ha. Il suo esempio continua, dunque, a essere un faro di speranza e di ispirazione: con tenacia, talento e coraggio, perché ogni barriera può essere superata. Come disse Nellie Bly:
Non è ciò che diciamo o pensiamo che ci definisce, ma ciò che facciamo.
Da Nellie Bly… a Giulia Innocenzi
E così arriviamo a oggi, quando, oltre un secolo dopo, un’altra giovane giornalista ha seguito questa stessa strada di coraggio, addentrandosi nelle verità scomode delle filiere alimentari italiane, documentando le crudeltà nascoste dietro il cibo che consumiamo ogni giorno. Utilizzando telecamere nascoste e metodi investigativi sotto copertura, ha svelato le condizioni deplorevoli in cui vengono allevati gli animali, lo sfruttamento del lavoro e l’impatto devastante di pratiche scorrette per l’ambiente e l’etica. Il suo documentario, infatti, sta scuotendo l’opinione pubblica, sollevando una indignazione che ormai ha varcato anche i confini dell’Italia.
Lei è Giulia Innocenzi che, con il suo coraggioso reportage “Food for Profit”, proprio come Bly entrò sotto mentite spoglie nel manicomio di Blackwell’s Island, si è infiltrata nelle aziende agricole e nei macelli italiani per documentare abusi, sfruttamento e violazioni dei diritti degli animali, fin troppo spesso nascosti da migliaia di metri cubi di cemento (“Se i macelli avessero le pareti di vetro, saremmo tutti vegetariani”, recita la famosa frase attribuita a Paul McCartney).
“Food for Profit” oggi sta facendo parlare di sé sui palcoscenici internazionali, ottenendo la prestigiosa nomination nella categoria miglior documentario al Septimius Awards di Amsterdam. Una notte indimenticabile sul red carpet, dove Innocenzi ha condiviso l’emozione e l’onore di essere stata selezionata insieme a opere di straordinario valore come “20 Days in Mariupol”, il documentario dei giornalisti ucraini che ha vinto il Pulitzer e l’Oscar.
Per noi, è stato un vero onore essere nominati insieme a un documentario che ha collezionato i premi più prestigiosi al mondo!, ha detto Innocenzi.
E non finisce qui. Durante la serata, viene annunciato un’altra conquista: “Food for Profit” sarà presto proiettato nei cinema di Olanda, Belgio e Lussemburgo. “Un altro grande traguardo di questa grande avventura” ha aggiunto, entusiasta dei risultati raggiunti.
Anche in Italia, “Food for Profit” continua a raccogliere consensi e a superare ogni aspettativa. Il documentario, appena uscito in DVD, è già il più venduto su Amazon e ha conquistato il 23° posto tra tutti i film più venduti sulla piattaforma, accanto a titoli del calibro di “Dune”, “Indiana Jones”, “The Truman Show” e i grandi classici Disney.
Food For Profit è uscito da pochissimo in dvd ed è già il documentario più venduto su Amazon! Ed è 23simo fra tutti i…
Posted by Giulia Innocenzi on Wednesday, July 24, 2024
Se me l’avessero detto solo 5 mesi fa, a febbraio, quando non avevamo né casa di produzione né casa di distribuzione, non ci avrei mai creduto, confessa Innocenzi. Oggi invece è realtà.
Tuttavia, “Food for Profit” ha ricevuto alcune critiche per il suo approccio e per i metodi utilizzati. Alcuni osservatori hanno espresso la preoccupazione che l’uso di immagini forti e tecniche investigative come l’infiltrazione possa influenzare le emozioni del pubblico, piuttosto che presentare una visione completamente oggettiva e basata sui fatti. Critiche sono state mosse anche all’immagine che ne emerge dell’industria zootecnica, percepita come troppo generalizzante e non sufficientemente rappresentativa della realtà complessa e variegata del settore. Altri hanno sottolineato come il documentario sembri più focalizzato a promuovere una specifica “agenda ideologica”, invece di stimolare un dialogo costruttivo e informato sulle pratiche e le problematiche esistenti nell’allevamento moderno.
Nonostante queste contestazioni, il successo del documentario non si è limitato solo alle sale cinematografiche ufficiali, ma ha scatenato una vera e propria mobilitazione dal basso, con persone comuni che si sono organizzate per portarlo in ogni angolo d’Italia. Dalle piccole città ai grandi centri urbani, gruppi spontanei di cittadini, associazioni locali e attivisti hanno lanciato iniziative per proiettare il film in teatri, piazze, centri culturali, scuole e persino all’aperto, dimostrando un coinvolgimento e un impegno senza precedenti. Questo movimento ha dimostrato come il desiderio di verità e giustizia possa unire le persone, trasformando un’inchiesta giornalistica in un fenomeno sociale capace di smuovere coscienze e creare un dialogo diffuso su temi spesso ignorati dai media tradizionali.
I motivi di questo trionfo? Facile a dirsi: un’inchiesta ben condotta e il desiderio del pubblico di conoscere la verità su temi spesso oscurati dai grandi interessi economici (e anche dai grandi media). Il modello narrativo d’inchiesta classico utilizzato, intrecciato al racconto giornalistico con elementi visivi di grande impatto, come immagini crude e autentiche dei luoghi dell’indagine, che coinvolgono lo spettatore emotivamente e intellettualmente, si è rivelato vincente. La narrazione è supportata da una forte cifra stilistica che mescola la tensione del thriller investigativo con l’approccio del reportage diretto, offrendo una rappresentazione schietta e senza filtri dell’industria alimentare.
Il lavoro di Food for Profit dimostra anche come le tecniche di infiltrazione siano, in realtà, uno strumento potente e necessario, che permette di aggirare la cortina di silenzio e complicità che spesso avvolge le verità scomode, portando alla luce storie che altrimenti rimarrebbero sconosciute. Se Bly ha rischiato la propria vita per denunciare le atrocità nei manicomi, Innocenzi ha scelto di usare la sua voce e il suo coraggio per svelare i lati oscuri delle lobby della carne, una battaglia ancora più cruciale nell’era moderna, in cui i consumatori sono sempre più attenti e consapevoli.
Non a caso il giornalismo non è solo narrazione, ma un potente mezzo per il cambiamento sociale. In questo senso, l’eredità di Nellie Bly vive in ogni penna, in ogni fotocamera nascosta, in ogni parola che sfida il potere e che lotta per una società più giusta, per un mondo migliore. In un’epoca in cui le informazioni sono spesso manipolate e superficiali, il giornalismo può ancora essere uno strumento capace di scuotere le coscienze e di spingere le persone a riflettere criticamente su ciò che le circonda. Come scriveva George Orwell, “Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario” (1984).
In effetti, “Food for Profit” non è solo un documentario: è diventato un simbolo di una rivoluzione sociale, una scintilla che ha acceso un fuoco di consapevolezza e impegno inaspettato. L’emozione suscitata da questo lavoro di denuncia si è tradotta in una mobilitazione senza precedenti, con persone comuni che, superando l’indifferenza e la disinformazione, si sono unite per portare alla luce verità nascoste e ingiustizie taciute, attraverso l’organizzazione dal basso e autonoma della sua proiezione.
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