Domani saranno due anni dalla morte di Marielle Franco: era il 14 marzo 2018 quando fu assassinata con 5 colpi d’arma da fuoco. Ma chi è stato il mandante?
Una donna nera, lesbica, dalla parte delle minoranze, nata in una delle favelas brasiliane e attivista per i diritti umani: il ricordo di Marielle Franco è ancora vivo ben due anni dopo il suo omicidio. Un crimine tuttora poco chiaro, per il quale giustizia è rivendicata ben oltre i confini del Brasile e sul quale nemmeno noi vogliamo calare l’ombra.
Domani saranno due anni dalla morte di Marielle: era infatti il 14 marzo 2018 quando fu assassinata con 5 colpi d’arma da fuoco insieme con il suo autista, Anderson Gomes, dopo aver partecipato a una riunione con un gruppo di donne di colore nel centro di Rio de Janeiro.
Nonostante l’arresto l’anno scorso due ex poliziotti collegati alla sua uccisione, per le famiglie e per gli altri attivisti per i diritti umani, il crimine solleva ancora troppe domande e riceve ancora poche risposte.
Dopo 24 mesi di indagini lente e poco trasparenti, in realtà il chi e il perché del suo omicidio rimangono irrisolti. È vero sì, che in concomitanza con un’operazione “mediatica” per il primo anniversario dell’omicidio della consigliera e attivista, le autorità hanno arrestato due ex poliziotti (già denunciati penalmente come autori materiali del crimine) ma ad oggi, ad ancora un altro anno di distanza, è stato annunciato che il processo degli ex agenti di polizia sarà condotto da una giuria popolare, una decisione che i tribunali ordinano solo in situazioni speciali legate ad alcuni crimini come quello dell’omicidio aggravato.
Sebbene la decisione sia stata applaudita dalla famiglia dell’attivista e dalle organizzazioni nazionali e internazionali per i diritti umani, la mancanza di trasparenza del processo continua, come denunciato dalle ONG, che sospettano che dietro l’omicidio ci siano gruppi della milizia armata.
La lotta per far luce sul crimine ha attraversato i confini e ha trovato il sostegno di innumerevoli Paesi in Europa, Asia, America e in Australia, per “l’ideale dell’umanità che lei simboleggiava”.
Marielle Franco, sociologa e consigliera del Partito socialista e della libertà di sinistra (PSOL), ha lavorato per i diritti dei più bisognosi, quelli delle donne nere e dei giovani nelle favelas, e anche per la popolazione LGTB.
“L’eredità che lascia – dice sua sorella Arielle – è che le persone devono credere, devono avere speranza, devono alzarsi ogni giorno e credere che ci saranno nuovi giorni”.
Finora ci sono due soli prigionieri per il crimine: Ronnie Lessa, un agente in pensione della Polizia Militarizzata e accusato di aver sparato l’arma che ha ucciso la consigliera, ed Elcio Vieira de Queiroz, un ex agente espulso per i suoi legami con i criminali e accusato di guidare l’auto da cui è stato sparato il colpo.
Per quanto riguarda i mandanti dell’assassinio, la polizia ha ammesso diverse ipotesi, dalla partecipazione di gruppi miliziani, composta da ex poliziotti corrotti o agenti attivi che controllano alcune favelas a Rio, a quella dei politici della città brasiliana. Ancora nessun progresso, indizio o identificazione.
Il terzo sospettato
Adriano Magalhaes da Nóbrega, un terzo sospettato indagato nel caso e che aveva legami con la famiglia del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, è stato sparato lo scorso febbraio nello stato di Bahia in una operazione di polizia.
Conosciuto come “Capitano Adriano”, membro della polizia fino al 2014 e successivamente uomo armato e capo delle milizie a Rio, il suo possibile coinvolgimento nel crimine non è in realtà ancora chiarito.
Quello che è chiaro è che le indagini sull’omicidio di Marielle continuano, due anni dopo, senza dare risposte certe alla sua famiglia e senza rispondere alla grande domanda: chi ordinò di ucciderla?
Fonte: Lavanguardia
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