Secondo le stime dell’ONU la popolazione mondiale ha raggiunto gli otto miliardi, appena 11 anni dopo aver superato il traguardo dei sette. E non finisce qui: la popolazione globale dovrebbe raggiungere il picco di circa 10,4 miliardi negli anni ‘80 del 2000. Un segno sì di tanti progressi, ma anche di sfide inimmaginabili. A partire dalle diseguaglianze
Il contatore demografico mondiale nel bilancio stimato tra nascite e decessi segna oggi 8 miliardi: casa Terra ospita ad oggi 8 miliardi di persone. Eravamo meno di un miliardo a fine Ottocento, 2 miliardi e mezzo nel 1950 e poi un miliardo in più solo nell’ultima dozzina di anni e più o meno si stima altrettanti ne serviranno per il prossimo miliardo.
Un traguardo storico, dice l’ONU, ma anche un promemoria: perché è frutto di progressi in campo medico-scientifico, ma restano forti diseguaglianze tra Paesi molto popolosi e molto poveri e Paesi avanzati ma in crisi demografica.
L’Asia e l’Africa hanno guidato gran parte di questa crescita e si prevede che guideranno il prossimo miliardo nel 2037, mentre il contributo dell’Europa sarà negativo a causa del calo della popolazione.
L’India, il maggior contributore agli 8 miliardi (177 milioni) supererà la Cina, che era il secondo maggior contributore (73 milioni) e il cui contributo al prossimo miliardo sarà negativo, come nazione più popolosa del mondo entro il 2023.
Aspettativa di vita più alta e le enormi disparità
In tutto il mondo, le persone vivono più a lungo. Nel 2019 l’aspettativa globale alla nascita era a 72,8 anni, in aumento di quasi 9 anni dal 1990, e si prevede salirà a 77,2 entro il 2050. L’aspettativa di vita alla nascita è in aumento dagli anni ’50 in tutte le regioni, soprattutto perché i tassi di mortalità per malattie infettive sono diminuiti. Ci sono state battute di arresto misurabili, legate alla pandemia influenzale del 1957 e, più di recente, all’HIV/AIDS e al Covid-19.
La misura comunque varia notevolmente in tutto il mondo, compresa una minore mortalità sotto i 5 anni, e una vita più lunga, legata a fattori quali una migliore alimentazione, assistenza sanitaria e condizioni di vita.
Nei Paesi a basso reddito, l’aspettativa di vita alla nascita è di circa 63 anni, quasi 10 anni al di sotto della media globale.
Le disparità nella mortalità sotto i 5 anni rappresentano gran parte del divario. Un bambino nato in un Paese a basso reddito ha una probabilità 13 volte maggiore di morire prima dei 5 anni rispetto a uno nato in un Paese ad alto reddito. I tassi di mortalità più elevati riflettono anche l’elevata mortalità materna e, in alcuni Paesi, la violenza, i conflitti e il continuo impatto dell’HIV.
Il divario nell’aspettativa alla nascita può arrivare fino a 33,4 anni.
Mentre un neonato in Australia, Hong Kong SAR, Macao SAR o Giappone può aspettarsi di vivere 85 o più anni, un neonato nella Repubblica Centrafricana, Ciad, Lesotho o Nigeria – i Paesi con la più bassa aspettativa di vita – può aspettarsi di vivere meno di 54 anni.
Guardando al futuro, i divari si stanno riducendo ma non così velocemente: nel 2050, l’aspettativa alla nascita nei Paesi a basso reddito dovrebbe essere di circa 8,4 anni inferiore alla media globale. E un bambino nato nei Paesi con la più bassa aspettativa di vita oggi può ancora vivere in media 31,8 anni in meno rispetto a un bambino nato in quelli con la più alta aspettativa di vita.
Intanto, secondo le stime, più della metà del previsto aumento della popolazione mondiale fino al 2050, quando si sfioreranno i 9,4 miliardi di persone, sarà concentrato in otto Paesi: Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Etiopia, India, Nigeria, Pakistan, Filippine e Repubblica Unita di Tanzania. Si prevede che i Paesi dell’Africa subsahariana contribuiranno per più della metà dell’aumento previsto fino al 2050.
Della crisi climatica e di pandemia
Ad esacerbare le disuguaglianze ci pensano l’accelerazione della crisi climatica e la ripresa irregolare dalla pandemia da Covid-19. Le emissioni e le temperature continuano a salire, le inondazioni, tempeste e siccità stanno mettendo in ginocchio quei Paesi che praticamente non contribuiscono al riscaldamento globale e, in questo scenario, la guerra in Ucraina aggrava la crisi alimentare, energetica e finanziaria, con le economie in via di sviluppo che ne pagano il peso maggiore.
Molti Paesi del sud del mondo devono far fronte a enormi debiti e all’aumento della povertà e della fame, oltre agli effetti in espansione della crisi climatica, con poche possibilità di investire in una ripresa sostenibile dalla pandemia, la transizione verso le energie rinnovabili o l’istruzione e la formazione per il l’era digitale.
Secondo le stime, più della metà del previsto aumento della popolazione mondiale fino al 2050, quando si sfioreranno i 9,4 miliardi di persone, sarà concentrato in otto Paesi: Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Etiopia, India, Nigeria, Pakistan, Filippine e Repubblica Unita di Tanzania. Si prevede che i Paesi dell’Africa subsahariana contribuiranno per più della metà dell’aumento previsto fino al 2050.
Che peso avranno tutte queste persone? Ne abbiamo parlato qui.
Intanto, che dire, benvenuto neonato numero 8 miliardi. Che il Pianeta ti sia ospitale.