Avete mai sentito parlare dei nonluoghi? Forse non lo sapete, ma li frequentate molto spesso. L’antropologo francese Marc Augé nei propri studi si è focalizzato sulla società contemporanea e sul paradossale incremento della solitudine in associazione con la diffusione di veri e propri nonluoghi e nonostante l’evoluzione dei mezzi di comunicazione.
Avete mai sentito parlare dei nonluoghi? Forse non lo sapete, ma li frequentate molto spesso. L’antropologo francese Marc Augé nei propri studi si è focalizzato sulla società contemporanea e sul paradossale incremento della solitudine in associazione con la diffusione di veri e propri nonluoghi e nonostante l’evoluzione dei mezzi di comunicazione.
Un nonluogo secondo Marc Augé è uno spazio utilizzato per scopi molteplici, anonimo e stereotipato, privo di storicità e frequentato da gruppi di persone freneticamente in transito, che non si relazionano tra loro.
La situazione della solitudine in mezzo alla folla si verifica soprattutto negli aeroporti, negli alberghi, sulle autostrade, nei supermercati e nei centri commerciali. Questi spazi secondo Marc Augé rappresentano i nonluoghi del mondo contemporaneo.
Secondo la definizione di Marc Augé i nonluoghi sono quegli spazi dell’anonimato ogni giorno più numerosi e frequentati da individui simili ma soli. Sono nonluoghi sia le infrastrutture per il trasporto veloce (autostrade, stazioni, aeroporti) sia i mezzi stessi di trasporto (automobili, treni, aerei). Lo sono anche i supermercati, le grandi catene alberghiere con le loro camere intercambiabili, così come i campi profughi dove sono parcheggiati a tempo indeterminato i rifugiati da guerre e miserie.
Per Marc Augé questi spazi sono il contrario di una dimora, di una residenza, di un luogo nel senso comune del termine. All’anonimato del nonluogo si accede – in un vero e proprio paradosso – solo fornendo una prova della propria identità: passaporto, carta di credito.
L’esempio più interessante è rappresentato dai supermercati e dai centri commerciali. Quando entriamo in uno di questi punti vendita abbiamo la possibilità di osservare tutti gli oggetti presenti e di valutare ciò che vorremmo acquistare. Finché ci troviamo all’interno di un supermercato, tutti gli oggetti in vendita sono a portata di mano, ma non sono ‘nostri’.
L’entusiasmo di girovagare all’interno di un vero e proprio ‘Paese dei Balocchi’ finisce quando arriviamo alla cassa e ci ritroviamo a dover pagare per fare in modo che gli oggetti che desideriamo entrino in nostro possesso.
Alcune persone preferiscono fare acquisti al supermercato o in un grande centro commerciale, anziché in un piccolo negozio di quartiere, perché si sentono protetti dall’anonimato mentre scelgono ciò che vorrebbero acquistare o semplicemente mentre si aggirano tra vetrine e scaffali.
L’anonimato finisce proprio quando ci troviamo alla cassa ed utilizziamo una carta di credito per pagare o quando semplicemente dobbiamo, volenti o nolenti, interagire con il personale del negozio semplicemente per chiedere qualche informazione.
Se osserviamo la situazione dall’esterno, si tratta di posti davvero paradossali. Eppure la nascita di nuovi centri commerciali continua a muovere le folle.
Ad Arese, in provincia di Milano, ha da poco aperto le porte quello che viene definito il centro commerciale più grande d’Europa. Basta la possibilità di visitare un negozio low-cost fino ad ora assente nel nostro Paese o di mangiare gratis del pollo fritto per creare svariati chilometri di coda lungo la strada per raggiungere il nuovo centro commerciale.
Siamo davvero schiavi del consumismo fino a questo punto? Marc Augé fornisce una doppia definizione di nonluogo (o non luogo, dal francese non-lieu): uno spazio costruito per un fine ben specifico (ad esempio il trasporto di passeggeri o il commercio), ma anche il rapporto che viene a crearsi tra gli individui e questi stessi spazi.
Forse è arrivato il momento di rivalutare il nostro rapporto con supermercati e centri commerciali. Davvero non possiamo fare a meno di visitarli anche se sappiamo che esistono delle alternative, come i negozi di quartiere, i mercatini e i Gruppi di Acquisto Solidale?
Possiamo cambiare il nostro modo di fare acquisti dando valore alle persone, sia ai produttori che ai membri del gruppo che fanno con noi la spesa condivisa. È così che si sconfiggr il nonluogo più emblematico. Certo, a volte per diversi motivi fare acquisti in un supermercato o in un centro commerciale è inevitabile o rappresenta l’opzione più comoda, ma in ogni caso possiamo entrare in gioco in prima persona per uscire dai ‘nonluoghi comuni’ e fare acquisti anche in un modo diverso e consapevole. Fare parte di un Gas, ad esempio, per alcune persone sarebbe davvero un passo in avanti importante per cambiare abitudini e per sconfiggere la solitudine, che in conclusione sembra la problematica principale legata ai nonluoghi. Cosa ne pensate?
Marta Albè
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