“Noi siamo tutte Jenni”: l’incredibile onda di proteste e denunce delle donne spagnole contro le violenze nel mondo del lavoro

L'onda lunga della denuncia della calciatrice spagnola Hermoso non si ferma, e dà a molte donne la forza di raccontare gli abusi subiti nell'ambiente di lavoro

Non si ferma lo tsunami provocato dal bacio non consensuale che l’ormai ex-presidente della Federazione calcistica spagnola, Luis Rubiales, ha strappato alla capitana della nazionale spagnola Jenni Hermoso durante la cerimonia di premiazione della Coppa del Mondo a Sydney.

Dopo la sospensione di Rubiales dalla sua presidenza e la denuncia di Hermoso per violenza sessuale, è nato dal basso un movimento e protesta che ha portato moltissime donne in Spagna a denunciare abusi simili – in una sorta di MeToo simile a quello che si è sviluppato negli Stati Uniti.

Helena Legido-Quigley, professoressa all’Imperial College di Londra, in collaborazione con i membri di Women in Global Health Spain, ha lanciato un appello social e invitato tutte le donne vittime di abusi e sessismo sul posto di lavoro a farsi avanti e a raccontare la propria storia.

Incredibilmente, in pochissimi giorni sono arrivate più di duecento racconti anonimi in cui le donne hanno avuto il coraggio di raccontare gli abusi subiti da colleghi di lavoro o dal loro capo – sul modello della calciatrice Jenni Hermoso.

La cosa più tristemente sconvolgente è che molte delle donne che hanno scelto di raccontare la propria esperienza hanno detto di essersi limitate a raccontare solo alcuni degli episodi in cui si sono sentite vittime del comportamento degli uomini.

Ma non solo: in molti casi, si è trattato di episodi denunciati per la prima volta – seppur in forma anonima. Fra i motivi che hanno inibito il ricorso alla giustizia ci sono il timore di perdere il lavoro, la paura di venire isolate socialmente, il terrore di ripercussioni sulla propria famiglia.

La legge spagnola sta facendo molti passi in avanti verso la tutela delle donne e il contrasto alla violenza sessuale: dopo l’innalzamento dell’età del consenso legale a un rapporto sessuale da 13 a 16 anni (approvato nel 2015), lo scorso anno è stata approvata una nuova legge sul consenso, secondo cui:

Il consenso può essere considerato consenso solo quando si è manifestato liberamente attraverso atti che, secondo le circostanze, esprimono chiaramente la volontà della persona.

In base a questa legge, insomma, il silenzio o l’atteggiamento passivo della persona che subisce l’abuso non possono essere interpretati come consenso, ma è necessario che le persone coinvolte nell’atto intimo esprimano, con parole chiare e con atteggiamenti, la loro disponibilità a procedere.

Tutto questo, però, sembra non bastare – in un’epoca in cui atti di supremazia degli uomini sulle donne sono ancora tollerati dalla società e considerati da molti come gesti goliardici privi di pericolosità.

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Fonti: The Guardian

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