Tutti pazzi per gli NFT, acronimo di Non fungible token. Ma cosa sono? Non sono delle criptovalute, ma sono creati con una tecnologia simile e quindi i danni ambientali, purtroppo, non sono molto diversi.
Si trovano sempre più NFT, acronimo di Non fungible token, dall’arte alla musica, dai tacos e alla carta igienica. In Italia ha aperto persino il primo ristorante (giapponese) che li vende insieme alle pietanze rappresentate. Questi “oggetti” sono delle risorse digitali uniche che vengono vendute con firme autenticate e scambiate, di fatto, come fossero monete. Ma non lo sono.
Come riporta Forbes, alcuni esperti sostengono siano una bolla pronta a scoppiare, invece altri sono convinti che gli NFT siano qui per restare, in un mondo sempre più virtuale, e che cambieranno per sempre gli investimenti.
Che cos’è un NFT e perchè non è una criptovaluta
Un NFT è una risorsa digitale che rappresenta oggetti del mondo reale, come oggetti d’arte, musica, giochi e video. Vengono acquistati e venduti online, spesso con criptovalute, e generalmente sono codificati con lo stesso software sottostante di molte di queste.
Sebbene siano in circolazione dal 2014, gli NFT stanno guadagnando notorietà ora perché usati molto spesso per acquistare e vendere opere d’arte digitali. Da novembre 2017 sono stati spesi addirittura 174 milioni di dollari in NFT.
Questi sono generalmente unici nel loro genere, o almeno a tiratura molto limitata, e hanno codici identificativi univoci.
In sostanza, gli NFT creano scarsità digitale
spiega Arry Yu, presidente del Cascadia Blockchain Council della Washington Technology Industry Association e amministratore delegato di Yellow Umbrella Ventures.
L’affermazione, molto forte ma realistica, sembra in netto contrasto con la maggior parte delle creazioni digitali, che sono quasi sempre infinite. Come afferma una delle leggi dell’economia di base, tagliare l’offerta dovrebbe aumentare il valore di un determinato bene, supponendo che sia richiesto.
Ma molti NFT sono in realtà creazioni digitali che esistono già in qualche forma altrove, come videoclip iconici di giochi NBA o versioni cartolarizzate di arte digitale che già fluttuano su Instagram.
Sembra assurdo che ci siano persone disposte a pagare incredibili cifre per “oggetti” che si possono scaricare gratuitamente. Ma tutto questo è una derivazione (e qualcuno potrebbe pensare che sia una degenerazione) del digitale.
Un NFT consente infatti all’acquirente di possedere l’oggetto originale (virtuale ma originale) che contiene l’autenticazione integrata, la prova di proprietà. E i collezionisti apprezzano quei “diritti di vanteria digitale” quasi più dell’oggetto stesso.
Un po’ come avere la stampa di un’opera d’arte o avere l’opera vera. Se poi questa opera è, di fatto, una stampa lo stesso non importa (e no, non è come avere un libro o un libro firmato dall’autore, perché qui si parla di differenze economiche a volte da capogiro).
Ma che differenza c’è con i Bitcoin?
Il denaro fisico e le criptovalute sono “fungibili”, il che significa che possono essere scambiati, perché “uno vale l’altro” (letteralmente). Questo, in realtà, lo rende un mezzo affidabile per condurre transazioni sulla blockchain.
Un NFT invece è unico, generalmente costruito utilizzando lo stesso tipo di programmazione della criptovaluta, come Bitcoin o Ethereum, ma non fungible per definizione. Avendo una firma digitale che rende impossibile lo scambio, gli NFT sono quindi praticamente l’opposto di una criptovaluta.
Dall’arte all’ambiente
Esiste poi un’altra differenza, in un certo senso, tra NFT e criptovalute. Queste infatti sono state più volte “richiamate” per il loro scarso feeling con l’ambiente: i bitcoin sono un riconosciuto pericolo ambientale in quanto, oltre a impiegare ingenti quantità energetiche, incrementano i rifiuti sul Pianeta.
Leggi anche: Una transazione Bitcoin produce più rifiuti elettronici di due iPhone. Lo studio
Invece gli NFT stanno avendo discreto successo come mezzo per aumentare la consapevolezza sulla conservazione di delle specie in via di estinzione. Il WWF, per esempio, ha creato e messo in vendita i Non fungible animals (NFA), un numero estremamente limitato di opere d’arte crittografiche che rappresentano dieci specie minacciate, il cui ricavato è destinato per progetti di conservazione di tali specie.
Ma, come spesso accade, anche su questo non è tutto oro quello che luccica. Infatti gli NFT non sono criptovalute, ma sono creati con una tecnologia simile, e quindi i danni ambientali, purtroppo, non sono molto diversi.
Come riporta The Verge, il sito cryptoart.wtf permetteva alle persone di calcolare con un clic le emissioni stimate di gas serra associate ai singoli NFT. E l’autore, l’artista digitale Memo Akten, ha analizzato 18.000 di questi oggetti, scoprendo che l’NFT medio ha un’impronta di carbonio equivalente a più di un mese di elettricità per una persona che vive nell’UE.
Il sito però non esiste più, in quanto il creatore lo ha messo offline lo scorso 12 marzo. Secondo quanto riportato su una nota, Akten ha notato che il sito web era stato utilizzato per attribuire erroneamente le emissioni di un mercato NFT a un singolo NFT e l’ha eliminato quando ha scoperto che era stato “utilizzato come strumento per abusi e molestie”.
Gli NFT, comunque, restano controversi.
Fonti: Forbes / WWF / The Verge / Instagram
Leggi anche: