2050, l’anno dell’ultimo bambino che nascerà in Italia: un cortometraggio per riflettere profondamente

Plasmon dice la sua sul problema della decrescita demografica in Italia e lo fa lanciando un portale e un cortometraggio dal sapore distopico (ma nemmeno poi tanto). Marketing, comunicazione sociale e fattori ambientali mescolati e tesi a poche domande: fare figli è ancora conveniente per la società oppure no? E, di contro, non farne è ancora uno stigma da portarci sulle spalle?

Solo. In una culletta in mezzo a cento cullette vuote. Così si ritroverà l’ultimo bambino che in Italia nascerà nel 2050 se la situazione non dovesse cambiare.

Lui è Adamo, “l’ultimo nato negli ultimi 3 anni”, segno di una questione, quella demografica, “a lungo fortemente sottovalutata”, ed è il protagonista di un nuovo video (un mockumentary, per dirla con gli esperti, ossia un falso documentario) confezionato e lanciato neanche tanto per caso da Plasmon.

Meno bambini uguale meno vendite di prodotti per l’infanzia, direte voi. Ed è così che in quattro e quattr’otto quei geni del marketing hanno impacchettato 7 minuti in cui si vede Adamo (il nome del primo e dell’ultimo…) che cresce senza suoi simili attorno, senza sorelle, senza fratelli.

E poi i genitori, il demografo, la maestra, l’ostetrica, in uno spot (regia di Beppe Tufarulo) che sembra uno di quelli di una ONG di raccolta fondi per l’ultima ricerca.

Non siamo riusciti a passare dall’idea di un figlio come costo economico e come complicazione organizzativa per i genitori a intenderlo come valore collettivo su cui tutta la società ha convenienza ad investire, spiega nel video Alessandro Rosina, demografo e docente (vero) dell’Università Cattolica.

E poi giù con la sentenza: salvare il futuro del nostro Paese, oggi, è ancora possibile.

Come stiamo messi in Italia (e lo stigma che ancora esiste)

Secondo i dati ISTAT, nel 2021 i nati scendono a 400.249, facendo registrare un calo dell’1,1% sull’anno precedente (-4.643). La denatalità è poi proseguita nel 2022. Secondo i dati di gennaio-settembre le nascite sono circa 6 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2021.

Il numero medio di figli per donna, per il complesso delle residenti, risale lievemente a 1,25 rispetto al 2020 (1,24). Negli anni 2008-2010 era a 1,44.

Si fanno, in sostanza, pochi pochissimi figli. Una cosa che è del tutto in linea che le NON politiche per le famiglie e con un vero e proprio trend della denatalità di cui pare sia difficile comprendere le cause.

Il tutto condito, volenti o nolenti, dallo stigma della NON mamma: in un vero paradosso, va ad aggiungersi a tutte le difficoltà di portare avanti una gravidanza e di crescere un figlio, anche la NON accettazione da parte di una società ancora fortemente legata alla famiglia tipo sorridente intorno al mulino (bianco). Come se davvero fosse difficile capire perché una coppia non abbia figliato.

E il perché è presto detto: mamma e papà sono soli e soltanto sui nonni possono fare affidamento.

Cosa fare

Che ce lo dica un’azienda di prodotti alimentari per bambini è quasi ovvio. L’ufficio marketing ha tutti gli interessi per fare in modo che riprendiamo a far figli, altrimenti si deve vedere cosa vendere da qui ai prossimi 30 anni.

E va da sé che in questa campagna Plasmon si sia pure costruita e spiattellato la sua logica aziendale:

Abbiamo esteso il congedo parentale del secondo genitore a 60 giorni retribuiti al 100%, si legge. Per le mamme in azienda, integriamo la maternità statale pagando l’indennità al 100% e garantiamo estrema flessibilità negli orari e nei luoghi di lavoro, estendendo il permesso retribuito per le visite mediche senza limite giornaliero.

Qual è il senso? È interessante sottolineare il fatto che una azienda (seppure spinta da interessi economici) debba tappare i buchi e il vuoto di uno Stato mancante: la situazione economica di un Paese, le politiche per la famiglia e l’offerta di servizi pubblici incidono eccome e investire in politiche per il welfare garantirebbe anche un maggior tasso di occupazione femminile.

Invece, in Italia, politiche che assistano una donna durante tutto il corso della gravidanza sono del tutto assenti, se non qualche sporadica differenza tra Regione e Regione (e qui si scoperchia un vaso di Pandora allucinante); mentre tra congedi parentali, assegni unici e assenze e permessi dal lavoro una volta nato il bebè rappresentano ogni anno un ginepraio cui è difficile venire a capo e quasi sempre collegati al reddito familiare, il che non è nemmeno giusto in moltissimi casi.

Sì, ma essere in pochi aiuta l’ambiente

In molti vedrebbero il bicchiere mezzo pieno: a livello globale, una certa denatalità converrebbe alla salute del Pianeta. È quanto verrebbero a dirci i più cinici, certo, coloro che vedono nella sovrappopolazione il lasciapassare per la sicura estinzione del genere umano.

Si pensi che già nel 1968, Paul e Anne Ehrlich sostennero nel libro “La bomba demografica” (linkaffiliazione) che l’esponenziale aumento della popolazione a livello globale avrebbe alla lunga portato ad altrettanti aumenti di bisogni e consumi causando crisi di risorse e carestie. In più, già allora si ipotizzava il rischio di un carico eccessivo di emissioni di gas.

Toccata la soglia degli 8 miliardi di individui sulla faccia della Terra, per gli studiosi è chiara una cosa: la sovrappopolazione mette a rischio le risorse della Terra e contribuisce al cambiamento climatico, dal momento che inevitabilmente ogni persona ha un’impronta ecologica rispetto all’ambiente e contribuisce all’emissione di CO2.

La popolazione mondiale ha attualmente già meno risorse di quante gliene occorrano e le disponibilità annuali vengono esaurite ogni anno sempre prima. Ciò vuol dire che, mano a mano che le persone sulla Terra aumenteranno, diminuiranno sempre di più le risorse a disposizione per il loro sostentamento.

A livello nazionale, però, almeno nel breve termine un trend come il nostro rischierà di creare anche gravissimi problemi alla sostenibilità dello Stato, se si considera che la diminuzione della popolazione va di pari passo con il suo invecchiamento. Chi lavorerà prima o poi?

Una domanda che prima o poi qualcuno si dovrà pur porre. La verità? Sta nel mezzo e magari nel mettere in campo politiche che sostengano famiglie e proteggano l’ambiente. Utopia. E l’anno 2050 – termine ultimo per parecchie di quelle cose – non è poi così lontano.

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Fonti: Plasmon / ISTAT

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