Il suo corpo senza vita è accasciato nel fango, l’acqua del fiume sfiora appena le sue piccole gambe. La vita di Mohammed Shohayet è stata stroncata a 16 mesi. Un dramma che si è consumato in Myanmar il 4 dicembre, ma questa terribile immagine arriva solo adesso alla Cnn.
Ci sono drammi che rimangono scolpiti nella mente e ci sono immagini che non avremmo mai più voluto vedere. Ancora una volta, un bambino, diventa il simbolo di una tragedia umanitaria senza fine.
Il suo corpo senza vita è accasciato nel fango, l’acqua del fiume sfiora appena le sue piccole gambe. La vita di Mohammed Shohayet è stata stroncata a 16 mesi. Un dramma che si è consumato in Myanmar il 4 dicembre, ma questa terribile immagine arriva solo adesso alla Cnn.
Mohammed era uno dei tanti bambini in fuga verso il Bangladesh ma lì, lui non c’è mai arrivato. Secondo le prime ricostruzioni, le guardie di confine avrebbero aperto il fuoco sui fuggitivi facendo ribaltare le imbarcazioni di fortuna su cui viaggiava la minoranza musulmana Rohingya, perseguitata in Myanmar (ex Birmania).
Tutti annegati compresi donne, neonati e bambini. E il pensiero non può non volare a un altro bambino, il curdo Aylan trovato senza vita sulla spiaggia di Bodrum nel 2015, mentre cercava di fuggire lontano dalla guerra siriana.
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Bambini diventati il simbolo di un genocidio di popoli, del dramma dell’immigrazione, delle persecuzioni, della guerra. La foto di Aylan Kurdi aveva per un attimo rotto quel muro di silenzio e indifferenza, spingendo le comunità internazionali e le Istituzioni ad agire, a non fermarsi al momento di commozione.
“Ogni volta che guardo la foto mi sento morire. Vorrei essere morto. La mia vita non ha più senso. Nel nostro villaggio ci sparano dagli elicotteri, i soldati del Myanmar ci cercano per ucciderci. Mio nonno e mia nonna sono stati bruciati vivi. Tutto il nostro villaggio è stato bruciato dai militari. Non è rimasto niente”, ha raccontato alla Cnn, il padre del bimbo, Zafor Alamd.
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I Rohingya sono circa un milione, vivono in Myanmar da decenni, ma sono considerati dal governo dei clandestini per questo sono perseguitati. Nell’area dove viveva la famiglia di Mohammed da ottobre vi è un’offensiva militare, definita dalle autorità “operazione di bonifica”, una sorta di sterminio dei nostri giorni. Finora le vittime sono più di 250 e centinaia le persone in fuga attraverso il fiume Naf.
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Oggi il mondo piange Mohammed, ma ieri piangeva quello di Aylan, di fatto però migliaia di bambini continuano a perdere la vita nel Mediterraneo. È bene smuovere le coscienze, l’opinione pubblica, ma indignarsi, commuoversi non basta.
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Bisogna agire, nessuno ha la formula magica sul come farlo, ma è quanto mai necessario che lo si faccia al più presto intervenendo ai tavoli tecnici con delle soluzioni internazionali che pongano fine al populismo, al qualunquismo e alla caccia al profugo.
Con la speranza che la foto di Mohammed non sia l’ennesima strumentalizzazione in un mondo che non vuole cambiare.
Dominella Trunfio