Migranti, 10 miti da sfatare con gli ‘anti-slogan’

Ci rubano il lavoro, ci portano le malattie, li trattiamo meglio degli italiani? FALSO. Ventinove cadaveri di migranti sono stati recuperati nel Canale di Sicilia e altre 12 salme stanno sbarcando in questo momento nel porto di Reggio Calabria.

Ci rubano il lavoro, ci portano le malattie, li trattiamo meglio degli italiani? FALSO. Ventinove cadaveri di migranti sono stati recuperati nel Canale di Sicilia e altre 12 salme stanno sbarcando in questo momento nel porto di Reggio Calabria.

È un dramma senza fine quello che spinge i migranti a mettersi in mano a bordo di gommoni strapieni, provenienti soprattutto dalla Nigeria, nazione ostaggio delle violenze e torture di Boko Haram, degli Al Shabaab, dalla Guinea dove non esistono i diritti umani e dalla Costa d’Avorio dove si fugge per evitare ostracizzazioni e vendette.

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I migranti vengono salvati da qualsiasi nave che li avvista, in mare funziona così. Ma sono soprattutto, i cargo di Medici senza frontiere a raggiungere i porti più vicini, prestando il primo soccorso già a bordo.

Per questo, sono tra i più legittimati a stilare un anti-slogan, ovvero i dieci miti da sfatare sui migranti, noi avevamo già sfatato quello dei 35 euro regalati.

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Ma adesso più che mai, dopo le barricate di Goro e Gorino, episodio in cui a 12 donne con i loro bambini è stato negato l’accesso al paese, c’è bisogno di informazione.

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Ecco 10 miti da sfatare sui migranti

Ci portano le malattie

MITO. Malattie come Ebola, Tubercolosi e scabbia potrebbero diffondersi nel nostro Paese insieme agli immigrati. La mancanza di controlli sulle navi espone al contagio gli operatori impegnati nelle operazioni di soccorso e accoglienza dei migranti in Italia. Alla polizia non vengono forniti neppure gli strumenti minimi di profilassi. Stiamo correndo il rischio che malattie debellate da secoli in Italia ritornino a contagiarci e per molte di queste malattie non esiste nemmeno il vaccino.

REALTA’. I migranti non rappresentano un rischio per la salute pubblica. È allarmante che continuino a circolare notizie false a questo proposito. Nel corso di oltre dieci anni di attività mediche in Italia, MSF non ha memoria di un solo caso in cui la presenza di immigrati sul territorio sia stata causa di un’emergenza di salute pubblica. Spesso, associate all’arrivo dei migranti, vengono citate malattie come Tubercolosi, Ebola e scabbia. Siamo sicuri di conoscerle?

La Tubercolosi è presente in Italia da decenni, non è stata recentemente importata dagli stranieri e non si trasmette con una stretta di mano, prendendo lo stesso autobus o frequentando gli stessi spazi pubblici.

L’approdo dell’Ebola con i migranti che sbarcano sulle coste siciliane è più che remoto. Sono almeno 5.000 i chilometri da percorrere per arrivare alle coste del Nord Africa dai Paesi dove si manifesta il virus Ebola ed è impensabile percorrerli per via terrestre in meno dei 21 giorni che rappresentano il periodo d’incubazione della malattia. Il virus Ebola è molto letale e nella maggior parte dei casi provoca malattia sintomatica e poi morte nell’arco di pochi giorni dall’infezione. Questo vanifica la possibilità che una persona infettata si avventuri verso l’Europa in un viaggio che generalmente dura diversi mesi.

La scabbia è una malattia della pelle ed è sinonimo di condizioni igieniche molto precarie. L’infezione si diffonde con maggiore facilità nei luoghi affollati e nelle situazioni in cui vi sono molti contatti ravvicinati. La scabbia in Italia c’è da sempre, anche se è una malattia di facile cura (pochi giorni di trattamento con una pomata).

Le persone che affrontano lunghi e rischiosi viaggi via terra e via mare non solo sono esposte alle comuni malattie ma anche a traumi fisici e psichici. MSF ha condotto centinaia d’interviste a persone soccorse in mare tra il 2015 e il 2016 che hanno rivelato l’allarmante livello di violenza e sfruttamento al quale i migranti sono sottoposti in Libia. Gli abusi riportati comprendono violenze (anche sessuali), detenzione arbitraria in condizioni disumane, torture e altre forme di maltrattamento, sfruttamento economico e lavoro forzato.

È del tutto falso che, una volta sbarcate sulle coste italiane, le persone accedano al territorio nazionale senza alcun controllo sanitario. Il Ministero dell’Interno e il Ministero della Salute sono i garanti dell’attuazione di procedure di screening sanitario in tutte le fasi del transito in Italia (dallo sbarco all’ingresso nei centri di accoglienza).

Le difficoltà in cui si trovano i migranti nei mesi successivi all’arrivo in Italia minano il loro stato di salute esponendoli a malattie legate al degrado, alla povertà e all’esclusione. Quando escono dal circuito d’accoglienza, una delle conseguenze della marginalità sociale in cui spesso vivono (precarietà abitativa, sfruttamento lavorativo) è proprio il mancato o limitato accesso alle cure mediche di base.

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Li trattiamo meglio degli italiani

MITO. Accolti, serviti e riveriti. Mentre gli italiani faticano ad arrivare a fine mese e molti non hanno una casa, gli immigrati alloggiano in hotel e ricevono 35 euro ogni giorno. Tutti soldi sottratti a bisogni primari di molti cittadini italiani.

REALTÀ. In Italia, il sistema di accoglienza è gestito dal Ministero dell’Interno e comprende centri di prima e seconda accoglienza. L’insieme delle strutture ordinarie e dei servizi predisposti dalle autorità centrali e dagli enti locali è largamente insufficiente, tanto che più del 70% dei richiedenti asilo è attualmente ospitato in strutture temporanee e straordinarie.

La carenza di posti è aggravata anche dalle lungaggini burocratiche che protraggono i tempi di permanenza delle persone all’interno delle strutture, togliendo spazio ai nuovi arrivati. Il risultato è che i centri sono sovraffollati, con personale, strutture e servizi insufficienti a rispondere ai bisogni dei migranti e delle comunità di accoglienza.

Riguardo ai 35 euro, questi soldi non vanno in tasca ai richiedenti asilo, ma agli enti che si occupano della gestione dei centri e ne sostengono i costi (affitto delle strutture, salari per gli operatori, vitto e servizi di base per gli ospiti). In media, solo 2,5 euro al giorno – il cosiddetto “pocket money” – vengono corrisposti direttamente al richiedente asilo per le sue piccole spese quotidiane (ricariche telefoniche per chiamare i parenti nei paesi d’origine, acquisti di generi alimentari e non, ecc…). Questi fondi per l’accoglienza vengono peraltro stanziati in parte rilevante dall’Unione Europea.

Accogliere chi scappa dal proprio Paese è un obbligo regolamentato da accordi internazionali. Per tante persone la permanenza nei centri in Italia è un vero e proprio calvario, che può durare mesi se non anni. Nel recente rapporto “Fuori Campo”, MSF ha documentato come sempre più persone non ricevano immediata accoglienza dopo aver presentato domanda di asilo, altre vengano allontanate dal sistema di accoglienza prima di aver terminato il percorso di integrazione, altre ancora evitino volontariamente di entrare nel sistema perché esasperate dalla mancanza di prospettive e opportunità.

Molti di questi finiscono per alimentare la popolazione dei tanti insediamenti informali nati in tutta Italia, dove si vive ai margini della società. Sono almeno 10.000 i rifugiati e i richiedenti asilo che vivono oggi nelle degradanti condizioni degli insediamenti informali.

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Aiutiamoli a casa loro

MITO. È un errore continuare ad accogliere persone provenienti da Paesi poveri. Da noi non troveranno un futuro migliore. L’unico intervento ragionevole è mandare gli aiuti nei loro Paesi: solo così si eviterà che masse di poveri invadano l’Europa.

REALTÀ. La comunità internazionale da decenni si pone come obiettivo di eliminare la fame e la povertà estrema ma, nonostante gli sforzi e gli investimenti, i risultati sono ancora insufficienti. E in ogni caso, gli aiuti internazionali da soli non bastano a consentire il rientro a casa in sicurezza di chi fugge da conflitti, persecuzioni e violenza.

In alcuni contesti, poi, l’instabilità è tale che non esistono le garanzie minime di sicurezza necessarie per mantenere programmi di assistenza. Riguardo all’impegno di MSF, più del 68% dei fondi raccolti in Italia è destinato ai progetti in Africa, circa il 30% in Asia e America e solo il 2,5% in Europa¹. Di fatto, oggi la gran parte delle nostre risorse è già utilizzata nei paesi di provenienza di migranti e rifugiati, anche se nel 2015 la dimensione degli interventi di MSF a loro favore in Europa e nel Mediterraneo è aumentata molto.

L‘Unione Europea, invece di estendere la protezione e l’assistenza a chi ne ha più bisogno, sta concentrando la sua attenzione sulla deterrenza, l’esternalizzazione dei controlli di frontiera e il respingimento verso i paesi di origine o terzi. Questo approccio inumano non impedirà alle persone di raggiungere l’Europa, ma aumenterà soltanto le reti di trafficanti, mettendo ancora più a rischio la vita di chi fugge. Il solo modo per far fronte a questa crisi umanitaria è garantire vie legali e sicure per raggiungere l’Europa, favorendo l’accesso al diritto di asilo e alle misure di ricongiungimento familiare, e allo stesso tempo migliorando le condizioni di accoglienza.

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Hanno pure lo smartphone

MITO. Quelli sui barconi sono poveri e disperati davvero? E allora dove trovano i soldi per comprarsi gli smartphone, a volte anche di ultima generazione? Agli sbarchi, nei centri di accoglienza e per le strade delle nostre città li vediamo sempre attaccati al cellulare.

REALTÀ. Per chi fugge da guerra, violenze o povertà ed è costretto a intraprendere un lungo e pericoloso viaggio, i cellulari, in particolare gli smartphone, sono beni di prima necessità:

– sono il mezzo più economico per stare in contatto con i propri familiari;
– permettono di capire dove ci si trova, attraverso la geolocalizzazione;
– servono a condividere informazioni fondamentali su rotte, mappe, pericoli alle frontiere, blocchi.

Nei progetti di MSF in Grecia e sulla rotta dei Balcani forniamo alle persone in fuga postazioni per ricaricare il proprio cellulare e connessione wi-fi, e diverse organizzazioni umanitarie forniscono app per facilitare la richiesta di aiuto per le persone in fuga.

In Sicilia e sud Italia, nelle nostre attività di primissima assistenza ai porti di arrivo in caso di sbarchi traumatici, tra i servizi di base offerti ai sopravvissuti – oltre al supporto psicologico – c’è l’accesso all’informazione e all’orientamento. Quando è necessario, mettiamo a disposizione un telefono per chiamare le famiglie.

Vengono tutti in Italia. Sono troppi!

MITO. Ormai siamo invasi dagli immigrati. Per le strade delle nostre città si vedono più stranieri che italiani. Non abbiamo più posti dove ospitarli, mentre le popolazioni locali sono indispettite dal loro continuo arrivo. Perché non li facciamo sbarcare in Spagna? Perché non li spediamo in Francia, Inghilterra o Germania? Siamo gli unici ad accoglierli.

REALTÀ. Le statistiche ufficiali dicono che la maggior parte delle persone in fuga si sposta verso i paesi limitrofi al proprio, non si “imbarca” per l’Europa. Degli oltre 65 milioni di persone nel mondo costrette alla fuga nel 2015, ben l’86% resta nelle regioni più povere del pianeta. Il 39% si trova in Medio Oriente e Nord Africa, il 29% in Africa, il 14% in Asia e Pacifico, il 12% nelle Americhe, solo il 6% in Europa.

Il numero dei rifugiati che sono ospitati nei paesi europei è pari a 1,8 milioni, mentre i richiedenti asilo sono circa 1 milione. In Italia si trovano 118.000 rifugiati (ovvero 1,9 ogni 1000 cittadini italiani) e 60.000 richiedenti asilo. Va detto che l’Italia è agli ultimi posti in Europa per incidenza dei rifugiati sulla popolazione totale: i primi in classifica sono la Svezia (17,4 ogni 1000), Malta (16,5), la Norvegia (9,8) e la Svizzera (8,9).

A livello globale, i Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati sono nell’ordine la Turchia (2,5 milioni), il Pakistan (1,6 milioni) e il Libano (1,1, milioni). In quest’ultimo, ogni 1.000 abitanti si contano addirittura 183 rifugiati. (fonte UNHCR)

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Sono tutti uomini giovani e forti

MITO.La stragrande maggioranza di chi arriva in Europa è rappresentata da maschi adulti. Se davvero scappano da guerre e povertà, le prime persone che dovremmo vedere alle nostre frontiere sono donne e bambini.

REALTÀ. La maggioranza delle persone che arrivano in Europa è rappresentata da giovani uomini perché hanno una condizione fisica migliore per poter affrontare un viaggio così duro. Spesso sono le stesse famiglie a mandarli per primi, sperando un giorno di potersi ricongiungere. Tuttavia, il numero di famiglie, donne e minori non accompagnati è in aumento. Nel 2015, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), di circa un milione di persone arrivate in Grecia, in Italia o Spagna via mare, il 17% è costituito da donne e il 25% da bambini.

Chi ce la fa ad arrivare è estremamente vulnerabile: le équipe di MSF assistono vittime di violenza e torture, persone disabili, donne incinte, bambini e perfino neonati in fuga per salvare le loro vite, lasciando dietro di sé conflitti, persecuzioni e povertà.

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Ci rubano il lavoro

MITO. Se i giovani italiani non hanno futuro è colpa degli immigrati. Un immigrato è disposto a lavorare con un salario più basso e a condizioni contrattuali peggiori rispetto a quelle dell’italiano medio. Oggi assumere un immigrato è molto più vantaggioso!

REALTÀ. Il tema della “concorrenza sleale” praticata dai lavoratori stranieri in Italia è spesso utilizzato nel dibattito pubblico per dimostrare l’equazione secondo cui l’arrivo degli immigrati toglie posti di lavoro agli italiani. In realtà, a fronte di un’ampia letteratura economica internazionale sul rapporto tra immigrazione e mercato del lavoro, non esistono studi empirici in Italia che portino dimostrazioni robuste e inconfutabili al proposito. Al contrario, le analisi esistenti mettono piuttosto in evidenza la scarsa “concorrenzialità” tra lavoro straniero e lavoro autoctono a parità di competenze.

Un recente rapporto del Centro Studi di Confindustria ha evidenziato gli effetti positivi dell’immigrazione sul mercato del lavoro italiano, osservando, per settore di attività e tipo di professione, la prevalenza anche nel nostro paese di andamenti simmetrici dell’occupazione straniera rispetto a quella italiana (al crescere della prima, cresce anche la seconda), sia nell’industria in senso stretto sia nelle costruzioni, e per occupazioni più o meno qualificate.

Diverso invece il quadro nei settori dell’agricoltura e dei servizi, nei quali gli immigrati spesso svolgono mansioni che gli italiani non sarebbero comunque disponibili a svolgere, al punto che molte attività agricole devono la loro sopravvivenza alla disponibilità di manodopera straniera. I dati più recenti del Ministero del Lavoro evidenziano peraltro come tra i lavoratori stranieri sia maggiore lo squilibrio tra livello d’istruzione e impiego svolto: solo l’1,3% dei lavoratori italiani con laurea svolge un lavoro manuale non qualificato, mentre questa percentuale si alza all’8,4% nel caso dei lavoratori extra-comunitari.

La presenza di lavoratori immigrati rappresenta una ricchezza per il nostro paese anche dal punto di vista della finanza pubblica. Secondo quanto rilevato dall’INPS, ogni anno gli immigrati versano 8 miliardi di euro di contributi sociali, e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto di circa 5 miliardi. Solo una parte di questi contributi netti si tradurrà un domani in pensioni: secondo i calcoli dell’Istituto, gli immigrati hanno finora “donato” al nostro paese circa un punto di PIL di contributi sociali, grazie a circa 300 milioni ogni anno di erogazioni a fondo perduto.

Le istituzioni per contro finora non si sono impegnate a sufficienza per combattere lo sfruttamento dei braccianti stranieri nelle regioni del Sud Italia. Da anni molte organizzazioni come MSF denunciano con forza le inaccettabili condizioni di vita, salute e lavoro in cui migliaia di stranieri sono costretti nei campi dove lavorano come stagionali. I migranti sono costretti a subire condizioni contrattuali e lavorative peggiori rispetto agli italiani perché la loro situazione estremamente precaria li rende ricattabili.

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Non scappano dalla guerra

MITO. Solo una minima parte degli immigrati che arrivano nel nostro Paese scappa dalla guerra, come nel caso dei siriani. Nella maggior parte dei casi si tratta di migranti economici che partono con il sogno di diventare ricchi.

REALTÀ. La distinzione tra rifugiati e migranti economici è una semplificazione. I motivi che spingono le persone a fuggire dai propri Paesi sono diversi e spesso correlati tra loro: guerre (Siria, Iraq, Nigeria, Afghanistan, Sud Sudan, Yemen, Somalia), instabilità politica e militare (Mali), regimi oppressivi (Eritrea, Gambia), violenze (lago Chad), povertà estrema (Senegal, Costa d’Avorio, Tunisia).

Il diritto di ogni persona a chiedere protezione internazionale prescinde dalla nazionalità e dal paese di origine. A contare sono le cause della fuga, le persecuzioni subite o le minacce, la vulnerabilità e i bisogni di assistenza e cure mediche. A volte le necessità di protezione internazionale si sommano ai bisogni di assistenza umanitaria. Per esempio, nell’area del Lago Ciad – che comprende Nigeria, Camerun, Niger e Ciad – si sta consumando una delle più gravi crisi umanitarie del continente africano, con milioni di persone in fuga dalle violenze di Boko Haram e delle truppe governative che lo combattono.

Le violenze indiscriminate si aggiungono alla mancanza di cibo adeguato, acqua potabile, strutture sanitarie e servizi di prima necessità. La situazione non è tanto diversa in Sud Sudan con oltre un milione di persone sfollate e centinaia di migliaia scappate oltre confine, per fuggire a scontri a fuoco, saccheggi, devastazioni, violenze e soprusi di ogni tipo. In entrambi i contesti sono presenti progetti di MSF con interventi di assistenza sanitaria e logistica (ripari, approvvigionamento idrico, costruzione di latrine).

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Foto: Marco Costantino

Sbarcano i terroristi

MITO. Tra i disperati in fuga che approdano sulle nostre coste si nascondono terroristi. L’Italia, quindi, sta diventando un potenziale canale d’ingresso per chi pianifica attentati in tutta Europa. Chi recupera e fornisce assistenza a queste persone concorre alla diffusione del terrorismo!

REALTÀ. La maggior parte degli affiliati ai gruppi terroristici coinvolti negli attentati in Europa era già presente sul territorio, in quanto si trattava di cittadini europei. È pur vero che le cronache hanno anche riportato pochi e isolati episodi di richiedenti asilo coinvolti in attentati, ma nella stragrande maggioranza dei casi a bussare alle nostre porte sono persone vulnerabili che fuggono da guerre e violenza.

È importante ribadire questo concetto: i rifugiati non sono terroristi, ma vittime del terrore. In molte circostanze sono persone che sono state costrette ad abbandonare le loro case da quegli stessi gruppi terroristici a cui erroneamente intendiamo associarli.

Il vero rischio che corriamo è che la strumentalizzazione di queste paure – da parte di alcuni media che puntano ad aumentare la propria audience e di politici in cerca di voti – contribuisca a rafforzare lo stigma nei confronti di persone che sono costrette a fuggire per cercare in Europa sicurezza e condizioni di vita più dignitose rispetto all’inferno che hanno lasciato alle loro spalle.

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Foto: Marco Costantino

Sono pericolosi

MITO.Spesso gli immigrati che arrivano in Italia vanno a ingrossare le fila della criminalità organizzata, spacciando droga, rubando o finendo nel giro della prostituzione. Nelle carceri italiane ci sono soprattutto immigrati.

REALTÀ. Sono più vulnerabili che pericolosi. Numerosi studi internazionali hanno evidenziato l’inesistenza di una corrispondenza diretta tra l’aumento della popolazione immigrata e l’incremento del numero di denunce per reati penali. È pur vero che sono molti i detenuti stranieri nelle carceri italiane (il 34% dei reclusi, al 30 settembre 2016), ma ciò è dovuto a una serie di fattori precisi. In particolare, a parità di reato gli stranieri vengono sottoposti a misure di carcerazione preventiva molto più spesso degli italiani, che ottengono invece con maggiore facilità gli arresti domiciliari (o misure cautelari alternative alla detenzione, una volta emessa la condanna). La stessa azione di repressione opera con più frequenza nei confronti degli stranieri, che con maggiore facilità sono sottoposti a fermi e controlli di routine da parte dalle forze di polizia.

Affermare semplicisticamente l’esistenza di un legame diretto tra immigrazione e criminalità e sostenere una maggiore propensione alla delinquenza tra gli stranieri rispetto ai nostri connazionali è il risultato di una generalizzazione, spesso basata su pregiudizi e su una superficiale analisi dei dati, che non aiuta a comprendere fino in fondo la complessità delle dinamiche sociali in atto.

Testo e foto Dominella Trunfio

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