Oltre 6mila operai stranieri sono morti nei cantieri dei Mondiali di Calcio 2022 del Qatar

Sono migliaia gli operai morti per costruire stadi e infrastrutture per i Mondiali di Calcio in Qatar, un evento sportivo che puzza di ipocrisia e violazione dei diritti umani. I numeri emersi dall'inchiesta del Guardian e di Amnesty International sono raccapriccianti

Il Campionato mondiale di calcio 2022 non è soltanto un’aberrazione ecologica (come l’ha definita l’attore ed ex calciatore francese Éric Cantona, che deciso di boicottarlo), ma gronda di sangue: quello di migliaia di lavoratori sottopagati, che hanno perso la vita per realizzare le gigantesche infrastrutture necessarie per l’evento sportivo.

Nel giro di dieci anni in Qatar, dove si stanno svolgendo i Mondiali di Calcio 2022, oltre 6.500 operai provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka sarebbero morti, per presunti problemi relativi alla sicurezza, durante i lavori di costruzione di 7 nuovi stadi e di altre infrastrutture e in occasione della ristrutturazione di altri 4 stadi. Per difendersi delle accuse, il comitato organizzatore sostiene invece che soltanto 37 persone abbiano perso la vita nei lavori di costruzione delle nuove infrastrutture dell’importante evento calcistico.

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Morti 12 lavoratori ogni settimana nell’ultimo decennio: i numeri dell’inchiesta

Secondo i dati raccolti e rielaborati da fonti governative, tra il 2011 e il 2020, i decessi di operai originari di India, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka sarebbero 5.927, a cui si aggiungerebbero 842 lavoratori pachistani morti tra il 2010 e il 2020. La media stimata è di 12 lavoratori migranti morti ogni settimana negli ultimi dieci anni.

La conta del numero di vittime non tiene conto dell’occupazione o del luogo di lavoro del soggetto, ma è altamente probabile che molti lavoratori deceduti siano stati impiegati in progetti di costruzione in vista della Coppa del Mondo. I cantieri messi in opera per i mondiali sono numerosi e mastodontici. Infatti, oltre a 7 nuovi stadi, essi includono un nuovo aeroporto, numerose strade, sistemi di trasporto pubblico, hotel e una nuova città, che ospiterà la finale dei Mondiali di Calcio 2022.

Il già triste bilancio in realtà si aggrava se consideriamo i lavoratori migranti provenienti da Filippine e Kenya, considerati tra i maggiori esportatori di manodopera a basso costo verso il Qatar. Si tratta quindi di uno scandalo di grandi dimensioni, rivelato già nel 2014, come dimostrano alcuni articoli comparsi sulla stampa britannica e statunitense nel 2015, nei quali viene citato un report pubblicato dall’International Trades Union Confederation (ITUC) nel marzo 2014 con l’eloquente titolo “The case against Qatar”.

Le condizioni di vita e di lavoro delle migliaia di operai stranieri residenti in Qatar sono assai drammatiche e meritano una maggiore attenzione internazionale. Su questa vicenda è uscito nel 2017 il film The Workers Cup, di cui proponiamo il trailer. Ore di lavoro massacranti sotto il sole cocente a fronte di scarsa retribuzione e alloggi-dormitorio squallidi, dai quali quei lavoratori non possono sfuggire senza un visto che ne autorizzi l’uscita dal paese.

 

A livello di politica internazionale, sarebbe quindi urgente fare pressione sulle autorità governative del Qatar, di concerto con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), per mettere fine al tradizionale sistema della kafala, che non consente ai lavoratori stranieri di cambiare occupazione o di emigrare in altro paese o nel paese di origine senza il permesso del proprio datore di lavoro, condannando i migranti del Qatar e di altri paesi del Golfo ad una moderna ma non meno atroce forma di schiavitù. Purtroppo, però, molte persone (e la stessa Fifa) preferiscono godersi lo spettacolo, ignorando tutto il sangue che c’è dietro.

I motivi per non guardare questi Mondiali di calcio sono tantissimi. Non “solo” la morte dei lavoratori migranti, ma anche perché – com’è noto – in Qatar i diritti dei gay e delle donne vengono costantemente calpestati. Nelle ultime ore la FIFA sta costringendo i calciatori europei a rimuovere la scritta LOVE (a favore dell’amore libero e dei diritti Lgbt) dalle divise. 

È davvero questo il calcio che vogliamo vedere?

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Fonti: Amnesty.org/Guardian

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