Masomah Ali Zada è fuggita dall'Afghanistan per inseguire il suo sogno, quello di essere una ciclista. E pedalando è arrivata fino a Tokyo
Masomah Ali Zada è fuggita dall’Afghanistan per inseguire il suo sogno, quello di essere una ciclista. E pedalando, pedalando, con la sua bicicletta è arrivata fino a Tokyo 2020 dove fa parte della seconda Squadra Olimpica Rifugiati CIO. La sua è una storia di resistenza, tenacia, sacrificio e tanta forza di volontà.
Oggi Masomah Ali Zada sorride alla vita, allo sport e alla sua carriera da ciclista. Lo fa alle Olimpiadi che fino a non molto tempo fa, per lei rappresentavano un miraggio. Ali Zada è originaria dell’Afghanistan, di etnia Hazara, ma ha passato la sua infanzia in esilio in Iran dopo che i talebani avevano invaso la sua città. Le cose non vanno meglio in Iran. La famiglia di Ali Zada non ottiene lo status di rifugiati, rimane senza documenti per molto tempo e ciò impedisce a Masomah e sua sorella Zahra di poter frequentare perfino la scuola.
Due sorelle che rimangono escluse dalla società, sono isolate e discriminate ma iniziano a riporre tutti i loro sogni e aspirazioni in una vecchia bicicletta. Montano in sella, pedalano e dimenticano tutto ciò che le circonda. Si sentono finalmente libere di essere quello che vogliono. Dopo qualche tempo, la famiglia torna a Kabul, Masomah e Zahra possono finalmente frequentare la scuola e grazie a un ex ciclista Sadiq Sadiqi si allenano ed entrano nella squadra nazionale di ciclismo femminile.
🚴♀️ L'échappée des "petites reines de Kaboul". Reportage @aureliamoussly #AFP pic.twitter.com/lWSD4Z3puO
— Agence France-Presse (@afpfr) July 1, 2017
Sono due adolescenti, le strade di Kabul sono la loro pista. Masomah supera la sorella e sogna le Olimpiadi, dimentica però che è una donna e che i conservatori non vogliono donne in bicicletta. Per lei ci sono insulti, offese, quando pedala viene colpita da uova, frutta marcia e addirittura proiettili. Ma le due atlete non si arrendono, fino a quando Masomah viene picchiata e l’allenatore riceve minacce di morte.
Nel 2016 è un documentario su Arte Tv a cambiare il corso delle cose.
Si chiama ‘Les Petites Reines de Kaboul’ (“Le piccole regine di Kabul”) e mostra ciò che accade alle due atlete e di come il ciclismo femminile venga considerato immorale.
Le immagini vengono viste da un avvocato in pensione Patrick Communal che contatta le sorelle tramite la Federazione ciclistica afghana. Le due cicliste vengono invitate dall’ambasciata francese a partecipare a una gara nel sud della Francia in occasione della Giornata internazionale della donna l’8 marzo 2016. Da qui, la storia cambia per sempre. L’avvocato fa accogliere le ragazze e la loro famiglia come rifugiati nel 2017. Oggi Masamah è a Tokyo e dice:”Voglio dimostrare che le donne sono libere di fare quello che vogliono”.
Fonte: Olympics
Leggi anche:
- VITTORIA! Arriva anche in Italia la parità di genere nello sport: le atlete diventano professioniste
- Lo skateboard femminile esordisce a Tokyo 2020 e premia due ragazzine di 13 anni
- Maria, la giovane nativa che ha vinto la maratona indossando i sandali di gomma riciclata (FOTO)