Marzabotto, quei giorni in cui non ci fu pietà neanche per i neonati

Esattamente 78 anni fa l'Appennino Bolognese si macchiava di sangue: quello di oltre 700 persone trucidate dalle truppe naziste. Nella strage di Marzabotto le SS non risparmiarono nessuno. Non ebbero pietà neanche per bambini e neonati

“La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga”: è la scritta che si trova davanti chi visita il cimitero di Casiglia, a Marzabotto.

Una frase che ci invita a ricordare quanto accaduto sull’Appennino Bolognese, divenuto teatro del più sanguinoso eccidio perpretato dai nazifascisti nel nostro Paese durante la Seconda guerra mondiale. Sono trascorsi 78 anni da quella che è passata alla storia come la strage di Marzabotto, divenuta una delle pagine più nere dell’Italia.

Dopo il massacro di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944 (in cui persero la vita oltre 500 persone), gli eccidi nazifascisti contro i civili sembravano aver avuto una battuta d’arresto. Ma, purtroppo, così non è stato. Infatti, il generale Albert Kesselring aveva scoperto che a Marzabotto era attiva la brigata partigiana Stella Rossa ed era disposto a tutto pur di sconfiggerla e dare una lezione a tutti i cittadini che la sostenevano.

L’orrore iniziò la mattina del 29 settembre, quando quattro reparti delle truppe naziste, comprendenti sia SS che soldati della Wehrmacht, accerchiarono e rastrellarono una vasta area di territorio compresa tra le valli del Setta e del Reno. La popolazione, in preda alla paura, si rifugiò nella chiesa di Santa Maria Assunta e nel cimitero. Ma i nazisti non ebbero pietà e fecero irruzione nel luogo sacro, uccidendo anche il sacerdote (che venne poi ritrovato sotto la neve decapitato) e quasi 200 persone.

Le terrificanti testimonianze dei sopravvissuti

Quando, alle nove circa, arrivarono le SS e sfondarono la porta e entrarono nella chiesa, capimmo subito che poteva accadere il peggio. Poi capimmo, dalla disperazione del parroco, quali fossero le intenzioni dei tedeschi.  – si legge nel racconto di Elide Ruggeri, superstite dell’eccidio – Ci fecero uscire dalla chiesa, formando una colonna, e fummo inviati, con le armi puntate ai fianchi, verso il cimitero della frazione, a duecento metri circa di distanza.

Il cimitero era recintato e la porta di ferro era chiusa. La sfondarono coi calci dei fucili e ci fecero entrare tutti nel recinto e noi ci addossammo in mucchio contro la cappella. Poi piazzarono la mitragliatrice all’ingresso e cominciarono a sparare, mirando in basso per colpire i bambini, mentre dall’esterno cominciarono a lanciare su di noi decine di bombe a mano. Durò tre quarti d’ora circa e smisero solo quando finì l’ultimo lamento. I bambini, una cinquantina, erano tutti morti, fra le braccia delle loro madri. Alcuni adulti riuscirono incredibilmente a salvarsi, sepolti sotto i morti. Anch’io.

Quello, però, era solo l’inizio. Da quel momento ogni abitazione venne passata al setaccio e la follia nazista non risparmio neanche bambini e neonati.

Le violenze continuarono senza sosta fino al 5 ottobre. Il bilancio dei civili trucidati fu spaventoso: 770 morti, di cui oltre 200 bambini, alcuni dei quali vennero strappati dalle braccia delle mamme e gettati vivi fra le fiamme.

Le testimonianze dei sopravvissuti fanno accappponare la pelle.

A S. Martino, vidi lontano un gruppo di gente, tutti donne e bambini, con un solo uomo in mezzo con una gamba offesa, sparpagliarsi per i campi a branco, senza una direzione precisa. Sentii dei colpi, poi i nazisti li circondarono e li raggrupparono. – racconta Giuseppe Lorenzini, partigiano che ha perso la moglie e i figli nel massacro – Fecero presto, ve lo dico io, picchiavano sulle dita e sulle unghie delle mani e dei piedi con i calci dei fucili.

Li portarono davanti alla porta della nostra casa, dove li fecero ammucchiare e li massacrarono tutti con le mitraglie. Poi, uno per uno, gli diedero un colpo di fucile alla nuca. Tornarono ad ammucchiarli, perché nel morire s’erano un poco dispersi, spinsero sul posto un carro di fascine, in modo da coprire tutti i cadaveri, fuori non spuntava neppure un piede, poi diedero fuoco.

Oggi più che mai, in una società in cui c’è chi ancora inneggia al nazismo e al fascismo con grande leggerezza, è necessario ricordare quanto sangue e quante sofferenze abbiano provocato i regimi dittatoriali nel nostro Paese.

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Fonti: Comune di Marzabotto/ANPI Reggio-Emilia

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