Mamma Mahon e la storia dei 1800 marinai italiani rimasti “sequestrati” per 16 mesi a Minorca (che quasi nessuno conosce)

Nel giorno della Liberazione, una storia (e una grande donna) che in pochi conoscono , parla di solidarietà, umanità e accoglienza

Oggi, nel giorno in cui l’Italia festeggia la liberazione dal nazi-fascismo e la fine della guerra, non posso smettere di pensare alla storia dei superstiti della corazzata Roma affondata all’indomani dell’8 settembre e rimasti bloccati per più di un anno nella piccola isola di Minorca, nell’arcipelago delle Balaeari.

Una storia ricca di valori e di solidarietà che si contrappone alla drammatica assurdità della situazione che l’ha scaturita. Una storia che in pochissimi conoscono – io per prima fino a tre giorni fa ne ignoravo l’esistenza – ma che invece andrebbe raccontata più spesso perché degna di essere divulgata e studiata come esempio di accoglienza e umanità. Ricorda , per certi versi, quella del romanzo Sagapo’, liberamente trasposta su pellicola da Salvadores in Mediterraneo, ma a differenza dei militari rimasti sulla sperduta isola greca, i soldati italiani , oltre 1800, che approdano al porto di Mahon sono appena sopravvissuti a uno degli eventi più drammatici del post armistizio e rimangono internati per 16 lunghi mesi non perché “dimenticati”, ma alla stregua di “ostaggi” del regime franchista che rimane neutrale solo sulla carta.

In comune queste storie, come del resto molte altre simili e meno note che compongono la grande storia della Seconda Guerra Mondiale, hanno  la fierezza con cui i giovani soldati cercano di conservare la propria umanità pur se estraniati completamente dal mondo e dal conflitto. Ma anche la solidarietà e l’accoglienza delle popolazioni locali con cui si trovano a convivere e con cui si crea un legame profondo e inaspettato. Spesso materno. Come quello instaurato con Fortuna Novella, italiana di Carloforte data in sposa a un imprenditore minorchino che aprì subito la sua casa ai giovani marinai connazionali trattandoli letteralmente come figli, tanto da essere rinominata da loro “Mamma Mahon”.

L’affondamento della Corazzata Roma e l’arrivo a Minorca

Il 9 settembre, il giorno dopo la divulgazione della firma dell’armistizio, l’Italia è allo sbando: i militari stessi non sanno più chi è nemico e chi è alleato, gli stessi ufficiali più alti in grado hanno saputo solo dalla radio della resa e regna il caos più assoluto. Anche nella squadra navale da combattimento ancorata al porto di La Spezia che era pronta all’ultima battaglia per contrastare lo sbarco alleato a Salerno, ma si ritrova con l’ordine di dirigersi verso La Maddalena. E’ comandata dall’amm. Carlo Bergamini che non fa dipingere i cerchi neri e issare il drappo simbolo di resa. Nel pomeriggio, al largo dell’Asinara in cielo appaiono 15 aerei tedeschi che sganciano le nuovissime e devastanti bombe radioguidate FX 1400, antenate delle odierne bombe intelligenti. Due di esse colpiscono la corazzata Roma, la migliore unità in servizio, il fiore all’occhiello della Regia Marina si spezza in due: 46000 tonnellate di acciaio incandescente affondano rapidamente trascinandosi dietro 1393 marinai, compreso l’ammiraglio Bergamini. 

Il resto della flotta riceve l’ordine di dirigersi a Malta e consegnarsi agli ex nemici, 7 navi però si fermano a recuperare i superstiti e i cadaveri che affiorano dal mare. Ancora in vita ne recuperano 628 e, sotto il comando del Capitano di Vascello Giuseppe Marini, si dirigono verso un porto neutrale per prestare soccorso ai feriti. Marini, che aveva partecipato alla guerra civile spagnola, ricorda bene l’ospedale militare presente nei pressi di Port Mahon e punta verso Minorca. Due navi, la Pegaso e Impetuoso proseguiranno invece per l’isola di Majorca dove verranno autoaffondate. 

@MenorAmica

Con le restanti navi da guerra e quasi duemila uomini al seguito Marini giunge alla Base Navale di Mahon dalla quale si aspettava di ripartire subito dopo aver messo in salvo i naufraghi e rifornito di carburante le imbarcazioni. La convenzione internazionale prevede, infatti, che le navi impegnate in guerra possano sostare solo 24 ore nei porti neutrali, ma Franco non concede quei rifornimenti e, di fatto, le sequestra insieme a tutto l’equipaggio che sarà costretto a rimanere sull’isola per ben 16 mesi, riuscendo solo nel gennaio del 1945 a far ritorno in Patria, in tempo per partecipare ancora alla guerra di liberazione.

Mamma Mahon e la solidarietà dei menorchini

Tra le prime persone a raggiungere il porto per prestare soccorso ai suoi connazionali c’è Fortuna Novella, unica italiana residente a Mahon che da subito si farà in quattro per aiutare procurando cibo, medicine e tenendo contatti con le famiglie in Italia, ma anche deponendo fiori sulle tombe dei 25 marinai sepolti. Fortuna non si limita a prestare soccorso, ma cerca di trattare con le autorità per evitare l’internamento dei marinai insieme alle navi. Sarà anche grazie al suo aiuto e a quello del comandante della base navale di Mahon, il Capitan de Navìo Francisco Benito che all’equipaggio fu concesso di restare a bordo e muoversi liberamente. Non facile la posizione di Benito che dovette districarsi fra ordini superiori non sempre amichevoli e la sua personale umanità che si trasformò nei mesi in amicizia per i “colleghi” italiani. Ma encomiabile fu tutta la popolazione minorchina che contribuì con un comportamento accogliente e solidale, a creare un clima di fiducia, amicizia e non solo: nacquero amori, matrimoni, figlie e relazioni tra le persone che sarebbero durate anche tra i loro discendenti fino ai giorni nostri.

Non a caso quando il 15 gennaio le navi riuscirono a ripartire, il molo del porto era pieno di persone, soprattutto ragazze, in lacrime a salutare “gli italiani”. Li saluta abbracciandoli uno ad uno anche Mamma Mahon che, con un fazzoletto in mano, li vedrà allontanarsi piano piano. Nel 1953 il Presidente Einaudi le conferì la Stella della Solidarietà italiana.

Il museo per ricordare la corazzata Roma nell’ex ospedale militare

ospedale militare

@Associazione Menorca Amica

A lei e a tutti i protagonisti di questa storia è dedicato il museo che da qualche anno sorge in due delle sale dell’ospedale militare costruito dagli inglesi nel XVIII sull’Illa del Rei, nell’isolotto di forma triangolare presente nel porto di Mahon, lo stesso che aveva fornito ai nostri soldati sopravvissuti accoglienza, cura, conforto e, purtroppo, anche sepoltura ad alcuni di loro.

In funzione fino agli anni Cinquanta, l’ospedale fu lasciato poi in un completo degrado e solo negli ultimi  anni, nel 2011, è iniziata l’opera di bonifica e riqualificazione da parte soprattutto di associazione e volontari. Come ad esempio Mario Cappa lo stesso che ci ha raccontato questa storia mentre ci mostrava non solo le sale dedicate alla corazzata Roma , ma l’intera opera di recupero dell’edificio e dell’Isola del Re tutta, divenuta attualmente punto nevralgico di arte e cultura, un luogo assolutamente da non perdere se decidete di visitare Minorca.

Per approfondire la storia potete guardare la puntata dedicata di Alberto Angela:

Per  maggiori informazioni potete consulyatare

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