Il destino del Brasile è appeso a un filo: il prossimo 30 ottobre l'esito del ballottaggio rivelerà il nome del nuovo Presidente, da cui dipenderà anche il destino della fragile Amazzonia
Nella giornata di ieri, il popolo brasiliano è stato chiamato alle urne per scegliere il nuovo Presidente del Paese. Una giornata storia, che avrebbe potuto vedere la fine del governo di Jair Bolsonaro, e che invece si è conclusa con un nulla di fatto.
Nessuno dei candidati ha ottenuto più del 50% dei voti. Questo vuol dire che si andrà a ballottaggio fra i due candidati più votati: l’uscente Bolsonaro, di estrema destra, e l’ex presidente Luiz Lula da Silva, esponente della sinistra. Appuntamento dunque al prossimo 30 ottobre per conoscere il nome del nuovo presidente.
Lula è uscito dalla prima votazione leggermente in vantaggio: 48,3% delle preferenze rispetto al 43,2% ottenuto da Bolsonaro. Non si tratta, tuttavia, di un risultato molto incoraggiante – di certo non è in linea con le proiezioni immaginate finora, che davano a Lula uno scarto di almeno dieci punti sul suo avversario.
La distanza così ridotta fra i due candidati lascia spazio alle congetture più sfrenate, per questo il voto del ballottaggio è così decisivo e potrebbe rappresentare la svolta per la rielezione di Bolsonaro. In queste elezioni un grande ruolo è stato giocato anche dall’astensione, che nel Paese è aumentata moltissimo negli ultimi anni.
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Rivediamo un attimo i profili di questi due politici così diversi per cursus honorum e per ideologia politica, che in fasi diverse della storia del Brasile si sono trovati ad esserne presidente. Da un lato abbiamo Jair Bolsonaro, 67 anni, esponente della destra più radicale.
Negli ultimi quattro anni di governo ha dovuto fronteggiare diverse emergenze, dalla pandemia da Coronavirus alla piaga della deforestazione in Amazzonia, e per la loro gestione è stato aspramente criticato da più parti.
Per quanto riguarda il Covid-19, ha scelto la linea del negazionismo e della totale assenza di restrizioni o limitazioni, mostrandosi in comizi affollati sempre senza mascherina, stringendo mani e abbracciando persone mentre noi in Italia eravamo chiusi in lockdown. Questo ha provocato centinaia di migliaia di vittime nel Paese: le stime ufficiali parlano di 680.000 morti, ma sono probabilmente al ribasso.
Sul fronte della deforestazione si è distinto con una linea politica che di fatto ha permesso alle imprese criminali di continuare a depredare la foresta amazzonica senza correre il rischio di finire arrestati o sanzionati – pur avendo, almeno ufficialmente, istituito forze di polizia speciali per controllare il fragile territorio della foresta.
Dall’altra parte abbiamo Lula, 77 anni, esponente della sinistra moderata. È stato già presidente del Brasile fra il 2003 e il 2007 e, dopo l’annullamento della condanna per corruzione (2017), è tornato eleggibile in parlamento. Il suo progetto politico è stato costellato di interventi di contrasto alla povertà e alla fame – anche attraverso l’istituzione di fondi sociali e di sostegno economico.
Sulla tutela della foresta amazzonica brasiliana, le sue posizioni sono in netto contrasto con quelle di Bolsonaro: in caso di rielezione, Lula ha promesso di invertire la rotta attuale, confermando il ruolo degli scienziati alle agenzie ambientali, rimuovendo l’estrazione illegale dai territori indigeni, creando uno schema di prezzi del carbonio e formando nuove agenzie dedicate alla protezione dei diritti degli indigeni.
Queste iniziative potrebbero ridurre la piaga della deforestazione in Amazzonia dell’89% nei prossimi 10 anni, secondo una nuova analisi condotta per Carbon Brief da scienziati dell’Università di Oxford, dell’International Institute for Applied System Analysis e del National Institute for Space Research.
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