Luka Yohana, “moran” Maasai, ha raccontato il suo punto di vista: quello di chi si schiera dalla parte dei diritti umani
“Nessun uomo avrebbero mai sposato una ragazza non mutilata”: un tempo era così, in quei Paesi dell’Africa e del Medioriente che applicano la pratica delle mutilazioni genitali femminili sulla quasi totalità delle giovani ragazze. Certo, è un’attività che esiste ancora e che è dura a morire, ma c’è chi – finalmente – si rende conto che quella perpetrata tramite le mutilazioni è solo e soltanto una autentica violazione dei diritti umani.
Lui è Luka Yohana, “moran” – guerriero – Maasai, e in un video testimonianza ha raccontato ad Amref, in occasione della Giornata internazionale della tolleranza zero per le Mutilazioni Genitali Femminili, il suo punto di vista.
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Lo fa da uomo che, finalmente, si schiera dalla parte dei diritti umani in una comunità, la sua, ancora fortemente legata alle usanze e alle tradizioni. Lo fa, Luka Yohana, finalmente a dimostrazione del fatto che la battaglia per l’uguaglianza di genere e la cessazione della violenza sulle donne non è un affare che riguarda solo l’universo femminile.
Il video
Mi sono sempre informato e ho sempre fatto ricerche sulla pratica, dice.
E apre a un barlume di speranza.
Un tempo, quella del taglio era una pratica identitaria e rigidamente rispettata nella nostra società. Tutta la comunità aderiva alla pratica, come parte integrante della tradizione, e nessun uomo avrebbero mai sposato una ragazza non mutilata, racconta Luka Yohana.
Luka vuole rompere questa tradizione, consapevole che si tratta di una violazione dei diritti umani.
Credo che sia necessario continuare a educare le comunità. Anzi, ne sono certo. Le cose cambieranno.
Ecco il video:
Le mutilazioni, perché fermarle una volta per tutte
La risposta è semplice: donne, ragazze e bambine non traggono alcun beneficio da tale pratica, ma solo gravissimi danni dal punto di vista psicologico e fisico.
Un dolore intenso, eccessivo sanguinamento e difficoltà a urinare e, nel lungo periodo, la comparsa di cisti, infezioni, infertilità, diminuzione del piacere sessuale e complicazioni nel parto. Questo solo ciò che comporta al fisico. E se volessimo considerare i risvolti psicologici di una simile usanza, ansie, depressione, disturbi psicosomatici.
Un gruppo di cinque studentesse keniane (The Restorers) ha creato un’app per assistere le vittime e le potenziali vittime della mutilazione genitale femminile. Nel 2019, il loro progetto è arrivato nella rosa dei finalisti per il Premio Sacharov del Parlamento europeo per la libertà di pensiero. La loro candidatura ha segnato un passo importante nella lotta globale alle mutilazioni genitali femminili e testimonia l’importanza strategica delle nuove generazioni di ragazze. I giovani e le giovani di oggi possono diventare portatori di un messaggio sociale alternativo a quello tradizionale, in grado di contenere ed eliminare la pratica delle mutilazioni genitali femminili in ogni parte del mondo.
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Fonte: Amref
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