Le spiego, Sua Santità, perché in Italia non facciamo più figli (e non c’entrano i cani)

Papa Francesco ha da ridire di nuovo sul fatto che noi italiani preferiremmo cani e gatti all'idea di fare piuttosto dei figli. Ma è davvero così sbrigativa la questione?

Cani e gatti al posto dei figli. Probabile e non impossibile. Papa Francesco tuona di nuovo (lo aveva già fatto in altre occasioni) contro il “malcostume” di noi italiani di preferire l’acquisto o l’adozione di animali domestici al fatto di sfornare creature. Scelta lecita, mi consenta Sua Santità, in un Paese in cui gli investimenti per la natalità sono considerati alla stregua di spese rognose da rimandare.

Non è la prima volta che Papa Francesco affronta la questione legata alla denatalità, sostenendo questa volta addirittura di dover “bastonare l’Italia“. Già nei mesi scorsi aveva lanciato un appello: “Questi Paesi ricchi non fanno figli: tutti hanno un cagnolino, un gatto, tutti, ma non fanno figli” e in occasione degli Stati Generali della Natalità ha dichiarato che “senza bambini e giovani, un Paese perde il suo desiderio di futuro”. Aveva detto la stessa cosa anche a novembre e poi nel 2022 in udienza generale.

Leggi anche: Eco-ansia: gli italiani rinunciano sempre più a fare figli (perché non c’è futuro climatico)

Ma lo sappiamo, Sua Santità, lo sappiamo eccome che sono le nuove generazioni (e sì: anche quelle di immigrati) ad essere motore di sviluppo futuro. Ma sono finiti i tempi in cui, come i nostri avi, si partorivano i figli in batteria per andare a coltivare i campi e sostenere la famiglia. Un delizioso circolo virtuoso in cui si prosperava e ognuno aveva un pezzettino di pane, ancorché tutt’attorno c’era ancora poca scolarizzazione e tanta manovalanza. Ora le cose si sono rovesciate, il boom economico c’è stato ed è pure finito, l’alfabetizzazione è pari allo zero, i campi non li coltiviamo più (e questo è un altro discorso) e non facciamo più figli. Perché tanto ci basta l’affetto di un cane? Eh no, non esattamente.

Ogni tanto si ritorna a parlare della bassa fecondità in picchiata: nel 2023 i nati in Italia erano 379 mila nati, 1,2 figli per donna, un calo ininterrotto che dura dal 2008: rispetto al 2022 le nascite si sono ridotte di 14mila unità (il 3,6% in meno); rispetto al 2008, ultimo anno di “picco”, il calo è superiore a un terzo (-34,2%). Tutto ciò significa quasi 200mila nuovi nati in meno in appena 15 anni.

Il motivo per cui non si fanno più figli? Molto più di un semplice capriccio. Gliene snocciolo qualcuno, Sua Sanità, ma partiamo dai dati riguardanti la povertà in Italia.

Secondo il reportPovera Italia e Poveri Italiani“, basato sui dati ISTAT più recenti, le famiglie in povertà assoluta (la condizione di individui o famiglie che non riescono a coprire le spese di beni e servizi essenziali per un vivere dignitoso, inclusi alimentazione, casa, vestiario e salute) aumentano: si passa da famiglie con un figlio che rappresentano il 40,76% nel 2021 al 45,9% nel 2022, e famiglie con due figli dal 10,87% al 13,59%. In maniera ancora più preoccupante, si registra un aumento delle famiglie con tre figli in povertà, che crescono dal 1,84% al 3,14% in un anno solo.

Da qui, scende a grappolo tutto il resto.

Stipendi bassi e il (non) lavoro delle donne

In generale, secondo un’analisi di AreaStudi Legacoop e Ipsos la cosa interessante è che quello della denatalità è un problema avvertito come urgente dal 74% degli italiani, un dato che si scontra con il desiderio di avere figli, manifestato chiaramente anche dai più giovani: sette su dieci ne vorrebbero almeno due.

Ma non ce la si fa, perché poi quei giovani fanno i conti con la realtà quotidiana:

  • stipendi bassi e aumento del costo della vita (70% vs. 63% tra i più giovani)
  • instabilità lavorativa e precarizzazione del lavoro (63% vs. 56% tra gli under30)
  • mancanza di sostegni pubblici per i costi da affrontare per crescere i figli (59% vs. 52% nella fascia più giovane)
  • mancanza di servizi per le famiglie diffusi e accessibili a tutti (57% vs. 45% tra gli under30)
  • paura di perdere il posto di lavoro (56%, percentuale che aumenta al 61% tra le donne)

La solitudine delle donne dopo il parto

Non c’è bonus che tenga, Sua Santità: la solitudine delle donne, a partire dai primi momenti dopo il parto, è un dato di fatto.

Secondo dati Eurostat, in Italia, il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni al IV trimestre 2022 è stato pari al 55%, mentre la media europea è stata pari al 69,3% . Una donna su 5, poi, si licenzia dopo aver avuto il primo figlio: una decisione dovuta per oltre la metà, il 52%, da esigenze di conciliazione, e per il 19% da considerazioni economiche. In generale, il divario lavorativo tra uomini e donne è pari al 17,5%, divario che aumenta in presenza di figli ed arriva al 34% in presenza di un figlio minore nella fascia di età 25-54 anni.

Ne parliamo nel dettaglio qui: In Italia una donna su 5 lascia il lavoro dopo il parto: siamo l’unico Paese in Europa dove l’occupazione femminile è ancora un miraggio

L’abbandono, che spesso inizia subito dopo il parto, si protrae nel tempo da parte anche da parte dei familiari ma, soprattutto, dei servizi pubblici.

La violenza ostetrica

Direttamente collegata al punto precedente è la questione legata alla cosiddetta violenza ostetrica, ossia quella serie di abusi – episiotomie, manovra di Kristeller, depilazioni non richieste, posizioni non scelte, maltrattamenti verbali e scarsa assistenza ed empatia durante il travaglio e il parto – sui qu ali nel nostro Paese sono ancora poche le tutele.

L’eco-ansia

Un rapporto rivela una preoccupazione concreta per il futuro climatico ed economico in Italia, influenzando anche le decisioni di una eventuale genitorialità. Lo studio evidenzia che una parte significativa dei giovani italiani, compresi tra i 25 e i 34 anni, si mostra riluttante ad avere figli nei prossimi anni, con il timore per le conseguenze del cambiamento climatico e le incertezze economiche come principali motivazioni.

Un corposo senso di incertezza che è amplificato ancor di più, e ancora una volta, dalla mancanza di sostegno pubblico alla fecondità, rendendo ancora più difficile il processo decisionale legato alla procreazione.

Quello che serve, Sua Santità? Dall’assistenza in gravidanza al parto, dagli asili nido accessibili ai congedi di paternità, servono politiche sociali che tengano conto non soltanto di una mera spinta alla maternità e alla paternità, ma una serie di misure concrete e lungimiranti che aiutino a far crescere tutto questo. E sì, Sua Santità, la presenza di un pet in casa ha sempre giovato in termini di empatia e affetto.

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