Saper valutare le informazioni che si ricevono deve diventare necessariamente parte fondamentale della formazione scolastica. Ne è un esempio la California
Pensiero critico, controllo delle fonti e apprendimento utile: tutto rischia di andare alle ortiche con un sempre più facile accesso a social media di tutti i tipi. Qui la fake striscia silente e non tutti hanno (o non vogliono avere) i mezzi e gli strumenti per riconoscerla. Come fare allora? Insegnarlo.
Così, esattamente come in Finlandia, anche in California gli studenti delle scuole pubbliche dovranno seguire corsi di “Media Literacy”, ossia di “alfabetizzazione mediatica”, che li aiuteranno a identificare le notizie false pubblicate online e a distinguere tra articoli di notizie legittimi e pubblicità a pagamento (è il caso del greenwashing).
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I contenuti di alfabetizzazione mediatica, si legge nella nota, saranno inclusi nei programmi di studio di arte, matematica, scienze, storia e scienze sociali in lingua inglese. La legge è stata resa necessaria dalla crescente dipendenza dei giovani da Internet e dalle piattaforme di social media, come TikTok, Instagram e X, per notizie e informazioni.
Insegnare l’alfabetizzazione mediatica è una strategia chiave per sostenere i nostri figli, le loro famiglie e la nostra società che è inondata di disinformazione sulle reti di social media e sulle piattaforme digitali – si legga ancora. Abbiamo la responsabilità di insegnare alla prossima generazione a essere consumatori più critici dei contenuti online e più protetti dalla disinformazione, dalla propaganda e dalle teorie del complotto.
Perché introdurre l’alfabetizzazione mediatica?
Perché, come abbiamo visto troppo spesso negli ultimi anni, ciò che accade online può avere gli impatti più terrificanti nel mondo reale: dal negazionismo climatico, e noi lo sappiamo bene, alle teorie del complotto sui vaccini fino gli attacchi terroristici, la diffusione della disinformazione online può avere conseguenze globali e mortali.
Uno studio della Stanford University del 2019 ha valutato la capacità degli studenti di valutare le fonti digitali sul web: il 96% degli studenti delle scuole superiori intervistati non ha considerato, per esempio, che i legami con l’industria dei combustibili fossili potrebbero influenzare la credibilità di un sito web sul cambiamento climatico, mentre più della metà ha creduto a un video granuloso che affermava di mostrare un voto abusivo (che in realtà è stato girato in Russia) che avrebbe dato la “prova evidente” di una frode elettorale negli Stati Uniti.
Ancora un altro studio ha rilevato che l’82% degli studenti delle scuole medie ha difficoltà a distinguere la pubblicità dalle notizie. Ancora un dato: secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2022, il 17% dei contenuti pubblici di TikTok relativi all’Olocausto lo negano o lo distorcono. Lo stesso vale per quasi 1 post Twitter su 5 relativo all’Olocausto e per il 49% dei contenuti sull’Olocausto su Telegram.
Tantissmo resta ancora da fare per eliminare del tutto la disinformazione globale.
E in Italia?
Dal sito del Dipartimento per le politiche giovanili, si apprende che sul piano legislativo, oltre alla Legge 107/2015 che prevede il riordino del sistema scolastico e formativo con attenzione ai temi dell’alfabetizzazione digitale, sul tema del potenziamento dell’alfabetizzazione mediatica è depositato nel Parlamento italiano il Disegno di legge Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica comunicato alla Presidenza il 7 febbraio 2017 – Atto Senato n. 2688.
Qui si stabilisce, tra le altre cose, che le istituzioni scolastiche, “nei limiti delle risorse umane, finanziarie strumentali disponibili a legislazione vigente, individuino tra gli obiettivi formativi quello riguardante l’alfabetizzazione mediatica e il sostegno ai progetti di sensibilizzazione e ai programmi di formazione volti a promuovere l’uso critico dei media online, con particolare riferimento alle norme e ai meccanismi necessari a prevenire il rischio di distorsione delle informazioni o di manipolazione dell’opinione pubblica“.
Nel concreto, non ci sembra che nulla si muovi verso un reale interesse a fare in modo che le nuove generazioni rompano il muro della disinformazione.
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