Le mutilazioni genitali femminili sono un problema che riguarda da vicino anche noi e ti spiego perché

Un fenomeno complesso che all’apparenza pare non riguardarci. Eppure le mutilazioni genitali femminili sono una pratica da cui nemmeno l’Italia è immune. Secondo la più recente indagine, qui da noi si contano 87.600 donne escisse, di cui 7.600 minorenni

Sessuali, sociali, igieniche: le motivazioni che sono dietro alle mutilazioni genitali femminili sono le più varie. Nessuna, però, giustifica una tale violenza. Nessun motivo vale il grido di dolore di milioni di donne.

Eppure, oggi, in occasione della Giornata Internazionale di Tolleranza Zero alle FGM, scopriamo un dato impressionante: secondo le ultime stime dell’UNFPA, nel 2023 più di 4milioni di ragazze sono a rischio di mutilazioni genitali femminili.

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Un dato che – si prevede – raggiungerà i 4,6 milioni entro il 2030, perché conflitti, cambiamento climatico, povertà e disuguaglianze continuano a ostacolare gli sforzi per trasformare le norme sociali e di genere alla base di questa dannosa pratica.

Tutto vero, certo, ma anche tutto lontano da noi? Non esattamente.

Non tutti sanno che fino al secolo scorso, la mutilazione genitale femminile veniva medicalmente praticata anche in Europa occidentale per curare presunti disturbi legati alla cosiddetta “isteria femminile”.

E anche se oggi le mutilazioni genitali sono sostanzialmente bandite nell’Unione europea — e alcuni Stati membri perseguano penalmente la MGF anche quando viene eseguita al di fuori del singolo Paese europeo — si stima che circa 600mila donne residenti in Europa abbiano subìto questa pratica, e che altre 180mila siano attualmente a rischio in 13 Paesi europei.

Le MGF in Italia e in Europa

Secondo i dati snocciolati da Amref, ad oggi il fenomeno migratorio (anche proveniente da Paesi ad alta prevalenza di Mutilazioni Genitali Femminili come l’Egitto, la Nigeria, l’Etiopia e il Senegal) ha reso le mutilazioni genitali femminili un problema di interesse globale: più di 600mila donne e ragazze con MGF vivono in Europa.

In Italia, dove ovviamente la resecazione è praticata in modo clandestino, come in altri Paesi Europei come Francia Germania, Regno Unito, le donne tra i 15 e i 49 anni sottoposte a MGF presenti sul territorio nazionale sono quasi 90mila. Risultato? L’Italia è uno dei Paesi che ospita il maggior numero di donne escisse.

Per la precisione, secondo i dati più recenti dell’Osservatorio sulla mutilazione genitale femminile dell’Università Bicocca, dal 2019 sono 87600 le donne che sono portatrici della mutilazione nel nostro Paese. Di queste, 7600 sono minorenni. 4600 le bambine a rischio in Italia o nei viaggi di vacanza di ritorno ai Paesi di origine.

Più nello specifico, secondo i dati Istat del 2020:

  • in Lombardia vivono 187.752 persone provenienti da 30 Paesi in cui si praticano le MGF. Il 44% è presente nel Comune di Milano (82.875), le comunità femminili più numerose sono: egiziana (76%), senegalese (8%), nigeriana (4%) ed eritrea (3%)
  • nel Lazio vive una popolazione proveniente dai 30 Paesi pari a 54.525. Il 75% vive nel Comune di Roma (42.726), dove le comunità femminili più numerose sono: egiziana (30%), nigeriana (21%), etiope (11%) eritrea (7%) senegalese (5%) ed indonesiana (3%)
  • nel Veneto vivono 46.655 persone provenienti da 30 Paesi. Il 17% vive nel Comune di Padova dove le comunità femminili più numerose sono quella nigeriana (55%), senegalese (9%), camerunense (9%), ghanese (6%) e burkinabè (6%)
  • in Piemonte vive una popolazione proveniente dai 30 paesi pari a 45.385; il 52% vive nel Comune di Torino (23.423) dove le comunità femminili più numerose sono: egiziana (30%), nigeriana (41%), camerunense (5%) e ivoriana (5%)

Ma non solo migrazioni

C’è qualcosa che è molto più remoto del “semplice” flusso migratorio. Qualcosa che in realtà ci portiamo dietro già solo nella nostra cultura che ci fa fare i conti col nostro passato.

Era il 1860 quando Isaac Baker Brown, ginecologo e chirurgo ostetrico che fondò anni prima la London Surgical Home, cominciò ad affermare che le donne affette da epilessia della sua clinica tendevano a masturbarsi spesso provocandosi patologie come l’isteria. Per evitarlo, insieme col fisiologo e neurologo Charles Brown-Séquard, che sosteneva la clitoridectomia come forma di prevenzione contro malattie alquanto improbabili, come la paralisi e la cecità, e altri uomini di scienza che ritenevano che contatto tra la clitoride e il suo prepuzio provocava “irritazione”, cominciò a considerare che era necessaria la circoncisione femminile e a dare avvio a veri e propri  interventi invasivi, come la rimozione di ovaie e o dell’utero.

Tutto, insomma, veniva considerato un trattamento terapeutico. Tutto, insomma, era relegato al secolare ruolo dell’uomo che sovrasta e annienta la donna, tramite azioni oppressive di dominio sul suo corpo. E non solo: con quelle pratiche si volevano anche regolare pratiche o inclinazioni sessuali “devianti” o punire il rifiuto di avere rapporti sessuali con il marito o, anzi, il goderne “troppo”.

Forse proprio da lì è scattato quello che oggi chiamiamo “tabù”, la libido femminile che non ha da aversi, che è sporca, che è sinonimo di irrispettabilità e impurezza morale.

Una serie di convinzioni dure a morire. Anche quando Brown, nel 1867, venne isolato dai colleghi invidiosi del suo successo e le sue teorie vennero messe in discussione, le operazioni di “pulizia” continuarono a essere ampiamente praticate, in Europa come Stati Uniti.

Le risoluzioni

Il Parlamento europeo ha dimostrato in più occasioni il suo deciso impegno per eliminare o comunque contenere questa pratica su scala mondiale. Attraverso l’adozione di norme e risoluzioni, il Parlamento ha raccomandato un’azione comune per sradicare la MGF.

Nel febbraio del 2020, i deputati hanno votato una nuova risoluzione per chiedere alla Commissione europea di considerare le possibili azioni per porre fine alle pratiche di MGF nel quadro della nuova Strategia per la parità di genere dell’Unione europea e di fornire assistenza alle vittime.

Quello che possiamo fare noi? Fare in modo che aumenti la conoscenza del fenomeno, dei fattori e di tutti quelli che sono i possibili indicatori di rischio, creare connessioni tra determinate figure professionali e tutti i servizi che sono a contatto con famiglie e minori. Parlarne, come sempre, e far comprendere che è un diritto sacrosanto delle donne porre fine a questa crudeltà.

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Fonti: UNFPA / Amref

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