Sono trascorsi due anni da quando i talebani hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan. Due anni in cui sono riusciti a imporre l’attacco più completo, sistematico e senza precedenti ai diritti delle donne e delle ragazze. Attraverso oltre 50 editti, ordini e restrizioni, non hanno lasciato intatto nessun aspetto della vita dell’universo femminile. Nessuna libertà viene risparmiata. E allora c'è un solo modo per tirare avanti: la clandestinità
Un autentico sistema fondato sull’oppressione di massa in quello che i più considerano un vero e proprio “apartheid di genere”. Qui in Afghanistan la vita delle donne è ancorata con un sottile filo rosso al minimo di speranza che è rimasta. Nessun tipo di diritto per loro ora, nessuna libertà concessa.
Era l’agosto del 2021 quando i talebani si appropriarono nuovamente del controllo dell’Afghanistan e da allora violano sistematicamente i diritti delle donne e delle bambine all’istruzione, al lavoro e alla libertà di movimento. Uno stillicidio che azzera ogni anelito di vita, che annienta – anche – il flebile sistema di protezione e di sostegno per le donne che fuggono dalla violenza domestica, arrestando donne e bambine per minime infrazioni a norme discriminatorie e contribuendo all’aumento dei matrimoni infantili, precoci e forzati.
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Una palese violazione dei diritti fondamentali cui fa da contraccolpo una serie infinita di arresti, imprigionamenti, torture e sparizioni forzate. No, non è un buon tempo da questa parte del mondo per le donne. No, non lo è ovunque, nemmeno da noi, dove una sommessa chiamata a un machismo sempre più diffuso e penetrante sta devastando ogni piccola conquista fatta in passato.
Siamo all’anno zero. E in Afghanistan per certi versi, come in Occidente (dove la deriva morale e culturale c’è e si vede) per altri, è tempo di parlare e non essere più invisibili. Ma come? Semplice a dirsi, un po’ meno a farsi, soprattutto al di qua dei confini afghani.
Disturbing video surfaces of Taliban barging into a home where brave Afghan women – past protesters – had gathered. The chilling sound of a gun cocking, sheer terror in their voices, pleading and panic. Yet where's this 'strength' when confronting men accused of misconduct… pic.twitter.com/Ww4CyEVa5c
— Mariam Solaimankhil (@Mariamistan) August 20, 2023
Le donne, le attività clandestine e la ricerca di una tregua
Proprio così: per aggirare i limiti imposti dai talebani, si è creato un sottobosco di piccole attività, gesti magici che riportano all’esistenza. È il caso dell’imprenditrice afghana Laila Haidari che, cinque mesi dopo che i talebani avevano distrutto il suo ristorante, ha aperto un centro artigianale segreto dove le donne guadagnano un piccolo reddito cucendo abiti e realizzando gioielli utilizzando bossoli di proiettili fusi.
Il suo laboratorio fa parte di una serie di attività clandestine che le donne hanno avviato da quando hanno perso il lavoro, dalle palestre ai saloni di bellezza alle scuole femminili.
Ho aperto questo centro per fornire lavoro alle donne che ne hanno un disperato bisogno, ha detto Haidari. Questa non è una soluzione permanente, ma almeno li aiuterà a portare il cibo in tavola.
Migliaia di donne continuano a gestire microimprese dalle loro case: Haidari possedeva un vivace ristorante di Kabul, noto per le sue serate di musica e poesia, e ad oggi i profitti sono stati investiti in un centro di riabilitazione dalla droga che ha creato nelle vicinanze.
Ma pochi giorni dopo la presa del paese da parte dei talebani, uomini armati e gente del posto hanno buttato fuori i pazienti del centro di riabilitazione, hanno distrutto il ristorante e saccheggiato i mobili. Ora, la sua impresa artigianale sovvenziona una scuola sotterranea che offre a 200 ragazze lezioni di matematica, scienze e inglese.
Non voglio che le ragazze afghane dimentichino le loro conoscenze e poi, tra pochi anni, avremo un’altra generazione analfabeta, racconta riferendosi alle donne e ragazze private dell’istruzione durante l’ultimo regime talebano, dal 1996 al 2001.
La crisi ha colpito duramente tutte le imprese, ma le difficoltà per le donne sono aggravate dai limiti dei talebani ai loro movimenti, compreso il divieto di viaggiare senza un “mahram”, un parente maschio che faccia da accompagnatore. Queste regole dei talebani sugli accompagnatori rendono difficile per le donne acquistare materie prime, incontrare persone con cui fare affari o vendere la loro merce. Le restrizioni rendono anche più difficile per le clienti raggiungerle.
Prima facevo regolarmente viaggi d’affari all’estero da sola, ora non posso nemmeno uscire per prendere un caffè, racconta Sekhawat. È soffocante. Alcuni giorni vado nella mia stanza e urlo.
Le restrizioni sono particolarmente dure per i circa 2 milioni di vedove del Paese, così come per le donne single e divorziate, che nemmeno potrebbero averlo qualcuno che funga da mahram… e così sono abbandonate al loro stesso destino.
Ecco, quella clandestinità dà un sentore di libertà conquistata, anche se al di fuori di quelle stanza la strada è nera come la pece. Perché intanto rimane dura la vita qui. Un attimo prima sei costretta a nasconderti per cucire vestiti e un attimo dopo ti ritrovi un mitra puntato sulla tempia, urla agghiaccianti a dirti che no, non ti meriti una vita normale.
E cosa ci sia di normale, in questo mondo, noi stentiamo a capirlo. Nel momento esatto in cui il termine “normale” delinea il sottilissimo spazio di gesti che non ledano la vita altrui, capita qualcosa che quel “normale” lo devasta e lo distrugge in nome di una libertà che qualcun altro si è arrogato il diritto di appropriarsi. Così, si alza ancora di più l’asticella delle aspettative, quelle di una società civile che rispetti le differenze e ne faccia tesoro, invece di calpestarle e diventare violenta.
Siamo in un tempo che si sgretola sotto ai nostri piedi. I talebani sono l’esempio lampante di sopraffazione e delirio, ma guardiamoci intorno. Proprio qui, vicino a noi. Ora.
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Fonti: Arab News / The Guardian
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