Cosa si nasconde davvero dietro la produzione degli ovetti Kinder? L'hanno raccontato le lavoratrici della Proteco Srl, un'azienda che confeziona prodotti per Ferrero, che nei giorni scorsi hanno scioperato per denunciare salari bassi e condizioni di lavoro precarie
Gli ovetti Kinder, amati da grandi e piccini, nascondono una “sorpresa” aggiuntiva oltre a quella che troviamo all’interno. Dietro al loro confezionamento, c’è infatti un sistema di sfruttamento delle lavoratrici, condannate a salari da fame e precariato cronico.
In pratica, mentre i dolci prodotti dalla Ferrero si vendono in tutto il mondo, chi lavora per produrli è costretto a combattere ogni giorno contro la miseria.
“Costa più una confezione di cioccolatini che un’ora del mio lavoro”. Queste sono le parole di una delle tante operaie della Proteco Srl, un’azienda che confeziona ovetti Kinder, Mon Chéri e Raffaello per la multinazionale Ferrero.
Le donne che lavorano qui guadagnano appena 5 euro l’ora:
Confeziono ovetti Kinder dal 2000, ma con 700 euro al mese non riesco nemmeno a comprarli ai miei figli – ha raccontato al Fatto Quotidiano un’operaia che lavora part-time da più di vent’anni.
Dietro questa situazione c’è un sistema di appalti al ribasso, dove la Ferrero esternalizza il confezionamento dei suoi prodotti, appoggiandosi a cooperative che applicano il contratto Multiservizi, un sistema nato per abbattere i costi del lavoro.
“Il 90% dei prodotti a marchio Ferrero viene confezionato all’esterno in appalto”, spiega il sindacalista Vincenzo Lauricella. Il risultato? Paghe misere e contratti inadeguati che non riconoscono nemmeno il valore del lavoro svolto e, come se non bastasse, le operaie sono costrette alla sospensione del lavoro per alcuni mesi.
Ferrero e il doppio standard
Il divario tra chi lavora direttamente per Ferrero e chi è coinvolto negli appalti è sconcertante. I lavoratori assunti direttamente dalla multinazionale guadagnano circa 1.600 euro lordi al mese, esclusi premi e benefit. Le operaie della Proteco, invece, si devono accontentare di 1.200 euro, e solo se riescono a ottenere un monte ore settimanale di 40 ore (cosa rara). Quando il lavoro cala, le lavoratrici vengono sospese senza retribuzione, costrette a vivere in un limbo di precarietà.
Dopo anni e anni di sopportazione, queste lavoratrici hanno deciso di dire basta. Il 26 settembre, davanti ai cancelli della Proteco, è iniziato il primo sciopero nella storia di questa vicenda, con striscioni che recitavano “Abbassate le armi, alzate i salari!”. E solo una settimana dopo, lo sciopero si è spostato davanti ai cancelli della Ferrero ad Alba, sotto la pioggia incessante, con un messaggio chiaro: “Appalti Ferrero: 30 anni di sfruttamento. Vogliamo il tempo pieno e un salario dignitoso”.
Queste donne, lavoratrici invisibili per il grande pubblico dei consumatori, non chiedono altro che diritti, salario e dignità. Vogliono poter lavorare senza essere sfruttate, senza dover vivere nell’incertezza di un part-time obbligatorio e di contratti che sviliscono la loro professionalità.
È ora che la Ferrero si assuma le sue responsabilità. Questa multinazionale non può continuare a chiudere gli occhi di fronte a un sistema che sfrutta chi confeziona i suoi prodotti. Giovanni Ferrero si vanta della sua reputazione come imprenditore illuminato, ma come può giustificare una tale disparità tra chi lavora direttamente per lui e chi, invece, subisce il peso degli appalti al ribasso?
Queste lavoratrici meritano di più. Meritiamo tutti di più e speriamo si faccia presto qualcosa.
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Fonte: USB Piemonte
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