La prossima della lista c’è già: Rita Talamelli, strangolata. 106esima vittima di femminicidio

Ha strangolato la moglie a mani nude. Poi ha vegliato su di lei per ore, probabilmente intontito dai barbiturici. Siamo alla vittima numero 106 dall’inizio dell’anno

Davvero siamo in grado di cambiare le cose? Non abbiamo fatto in tempo a dare l’ultimo addio a Giulia Cecchettin, uccisa per mano del suo ex, che già un altro femminicidio si consuma.

Siamo a Fano, e qui un pensionato di 70 anni ha strangolato la moglie, di 66 anni, Rita Talamelli, e poi ha ingerito dei barbiturici. A scoprire cosa quanto era accaduto è stato uno dei figli della coppia, al rientro a casa. L’uomo è per il momento piantonato dalle forze dell’ordine in ospedale, mentre noi piangiamo un’altra donna ammazzata.

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Ci risiamo, dunque, e che la cosa che più rabbrividire è che nemmeno ci meravigliamo. Raggela e sconvolge, certo, constatare che Rita Talamelli è la vittima di femminicidio numero 106, ma fintanto che le cose non cambieranno, quell’elenco lì è destinato ad accrescere. Rendiamocene razionalmente conto.

Ogni anno, ripetutamente, si riparte dal numero zero come se coltivassimo nuove speranze, e ogni anno, ripetutamente, quelle speranze vengono disattese, tra uccisioni che nemmeno fanno notizia e morti che riempiono i giornali e i post e i commenti di chiunque.

La realtà è che il destino di quelle 106 donne è stato per tutte tragicamente uguale: hanno incontrato l’uomo violento. E, attorno a loro, un vuoto istituzionale.

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“Crimine di Stato”, il Governo faccia qualcosa

Il Viminale ha appena aggiornato questo macabro conteggio: relativamente al periodo 1 gennaio – 20 novembre 2023, sono stati registrati 295 omicidi, con 106 vittime donne, di cui 87 uccise in ambito
familiare/affettivo; di queste, 55 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner.

@Viminale

Non è campato in aria quello che è stato gridato a gran voce in questi giorni: “Il femminicidio è omicidio di stato”.

Era il 2005 quando l’antropologa messicana Marcela Lagarde aggiunse in maniera esplicita alle condotte misogine proprio la violenza istituzionale, sottolineando la necessità della presenza di uno Stato in grado di garantire il diritto alla vita e alla sicurezza delle donne. Lei e altre autrici, soprattutto latinoamericane, parlano del femminicidio come crimine di Stato, dal momento che sono sistema politico e autorità a consentire la violenza contro le donne in maniera sistemica.

Si tratta dunque di una violenza strutturale che non assicura alle donne gli stessi diritti degli uomini: anche se esistono normative che garantiscono l’uguaglianza di genere o leggi contro il femminicidio, esse non vengono di fatto applicate, si legge in Lessico familiare. Per un dizionario ragionato della violenza contro le donne.

In Italia il concetto di femminicidio fu introdotto solo nel 2013 con la legge Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, ma – nei fatti – in mezzo a sterili dibattiti politici e uscite davvero mortificanti di certa classe dirigente, non ci si rende conto che questa è oramai una vera situazione emergenziale e che il femminicidio è un dato costante e longitudinale.

Cosa fare? Cultura, scuola, formazione, famiglia, ma non solo: si devono muovere le acque anche tra chi legifera. Arriverà (finalmente) questa settimana arriva in Senato il disegno di legge già approvato alla Camera contro la violenza di genere, che si propone di intervenire per rafforzare la prevenzione e la tutela delle vittime.

Ecco cosa prevede il Governo:

  • rafforzamento delle misure in tema di ammonimento e di informazione alle vittime
  • potenziamento delle misure di prevenzione
  • misure in materia di formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi
  • trattazione spedita degli affari nella fase cautelare
  • disposizioni in materia di attribuzioni del Procuratore della Repubblica
  • iniziative formative in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica
  • termini per la valutazione delle esigenze cautelari
  • rilevazione dei termini
  • modifiche relative agli effetti della violazione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari
  • arresto in flagranza differita
  • disposizioni in materia di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare
  • rafforzamento delle misure cautelari e dell’uso del braccialetto elettronico
  • ulteriori disposizioni in materia di misure cautelari coercitive
  • disposizioni in materia di informazioni alla persona offesa dal reato e di obblighi di comunicazione
  • disposizioni in materia di sospensione condizionale della pena
  • modifiche all’articolo 13 della legge 7 luglio 2016, n. 122, in materia di indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti
    riconoscimento e attività degli enti e delle associazioni organizzatori di percorsi di recupero destinati agli autori di reato
  • clausola di invarianza finanziaria

Più che misure a favore delle donne, ci sembrano un elenco militare volto soltanto all’inasprimento delle pene. Pare ovvio che non basta: la violenza di genere è in primo luogo culturale e per cambiare la traiettoria degli eventi bisogna innanzitutto cambiarne la narrazione e intervenire di netto in quel sottobosco in cui la nostra società continua a essere immersa.

Non a caso, l’Italia è uno dei pochi paesi europei a non aver ancora reso obbligatorio l’introduzione dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole italiane. Cosa che, tra l’altro, proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di istituire.

Il segreto, dunque? Partire dall’educazione delle nuove generazioni.

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