“Nata con i racconti del Libro dei Re, cresciuta con i versi della Divina Commedia”, Pegah Moshir Pour irrompe sul fulgente palco dell’Ariston e porta un pezzetto di un sanguinante Iran. Con lei una immensa Drusilla Foer a decantare i versi della canzone diventata simbolo delle proteste dei giovani iraniani
Baraye in persiano significa “per”. Una sola – piccola – parola, unica e potente, a descrivere uno dopo l’altro i bisogni estremi che ha adesso un popolo, quello iraniano: per la vita, per la libertà. Finalmente sul palco del Festival di Sanremo qualcosa di drammaticamente forte.
Dopo la furia volgare di Blanco e il pressapochismo di molti, Pegah Moshir Pour, attivista italiana con origini iraniane, attutisce il gelo dell’indifferenza e spiattella in eurovisione la realtà nuda e cruda dell’Iran, Paese dei diritti negati e della dura repressione sociale.
Lo fa con due occhi puntati in telecamera, coda di cavallo che riserva sorprese, e in un attimo è già al punto:
Se fossi vestita e truccata così, in Iran già mi avrebbero arrestata. Oppure uccisa.
Ho deciso che la paura non ci fa più paura e di dare voce a una generazione crescita sotto un regime di terrore e di repressione. In uno dei Paesi più belli al mondo, uno scrigno di patrimoni dell’umanità.
La parola paradiso deriva dall’antico termine persiano, “pardis”, giardino protetto. Allora io vi chiedo: esiste un paradiso forzato? Ahimè sì. Come si può chiamare un posto dove il regime uccide persino i bambini?
Dal 16 settembre 2022, giorno in cui Mahsa Amini è stata uccisa dalla polizia morale, il popolo iraniano sta sacrificando con il sangue il diritto a difendere il proprio paradiso. Vi ringrazio a nome di tutti ragazzi iraniani, perché ricordate al mondo che la musica è un diritto umano.
Per la libertà, per la libertà, per la libertà.#Sanremo2023 pic.twitter.com/IPaAJAfbT3
— Festival di Sanremo (@SanremoRai) February 8, 2023
Ed eccolo Baraye¸quel “per” pronunciato più volte da una Drusilla Foer limpida e incisiva e travolgente. Commovente.
Per poter ballare per strada – In Iran si rischiano fino a 10 anni di prigione se si balla per strada o si ascolta musoica occidentale
Per paura di baciarsi – In Iran è proibito baciarsi e tenersi mano nella mano con la persona che ami
Per mia sorella, tua sorella, le nostre sorelle – In Iran si paga con la vita il desiderio di esprimere la propria femminilità
Per l’imbarazzo, per la vergogna – Più di 20milioni di persone sono sotto la soglia di povertà, senza soldi per mangiare
Per i bambini che perdono i loro sogni – Sono moltissimi i bambini sfruttati che chiedono le elemosina e vivono tra i rifiuti
Per i cani innocenti e proibiti – Il regime uccide i cani di strada
Per queste lacrime, per questo pianto ininterrotto
Per questo paradiso forzato, per gli intellettuali imprigionati – Nella prigione di Evin ci sono più di 18mila tra intellettuali, dissidenti e prigionieri politici
Per i bambini afghani – In Iran ci sono più di 1milione di profughi afghani senza la possibilità di costruirsi una vita
Per sentire il senso di pace, per il sorgere del sole dopo lunghe notti e per la ragazza che desiderava essere un ragazzo – In Iran chi è omosessuale rischia l’impiccaggione
Per donna, vita e libertà, le parole chiave della rivoluzione.
E giù, via la coda di Pegah, gesto simbolo delle proteste.
QUI tutto ciò che c’è da sapere sul brano scritto da Shervin Hajipour musicando alcuni tweet sulle libertà negate che ha appena vinto il Grammy.
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