Dopo settimane dall’inizio delle proteste a livello nazionale in risposta alla morte di Mahsa Amini sotto la custodia della polizia morale, la giornalista e attivista per i diritti umani Nargess Mohammadi ha inviato una lettera dalla prigione di Evin, chiedendo al mondo di prestare attenzione alle aggressioni sessuali sulle donne detenute. Ma intanto innocenti continuano a morire, anche una 12enne nel giorno di Natale
Lei è stata condannata a 11 anni di carcere nel 2010. Poi la sua pena è aumentata a 16 anni dopo aver tenuto un discorso, mentre era su cauzione, criticando il trattamento dei detenuti nelle celle del carcere di Evin, a Teheran. Ma ancora la sua bocca non tace e la sua penna continua a scrivere, degli abusi e dei soprusi che lì si continuano a perpetrare.
Tanto che all’inizio di questo mese la BBC ha incluso proprio lei, Nargess Mohammadi, giornalista e attivista per i diritti umani, nella sua lista di 100 donne ispiratrici e influenti di tutto il mondo per il 2022.
Leggi anche: Violentate e torturate, le terribili testimonianze delle donne iraniane arrestate per aver manifestato
E mentre altri attivisti in Iran denunciano sui social la morte il 25 dicembre di Saha Etebari, una bambina di 12 anni, uccisa dopo che gli agenti del regime hanno aperto il fuoco contro l’auto dove viaggiava assieme ai suoi genitori nella provincia di Hormozgan, Nargess Mohammadi scrive una lettera dalla sua cella in cui fornisce alla stampa dettagli raccapriccianti su come lei e le sue compagne subiscano ogni giorno abusi, violenze sessuali e torture.
Non rivelare questi crimini contribuirebbe alla continuazione dell’applicazione di questi metodi repressivi contro le donne – dice. Pertanto, sembra che l’assalto alle donne attiviste, combattenti e manifestanti in Iran dovrebbe essere riportato ampiamente e con forza a livello globale. In assenza di potenti organizzazioni civili indipendenti, l’attenzione e il sostegno dei media e delle organizzazioni internazionali per i diritti umani e dell’opinione pubblica globale è essenziale.
E così, Narges racconta di aver visto cicatrici e lividi sui corpi delle compagne di cella e che un’attivista è stata legata mani e piedi a un gancio sul tettino del veicolo che la portava in carcere. Poi stata violentata dagli agenti di sicurezza. Un’altra donna, invece, arrestata durante una manifestazione, è stata aggredita fisicamente da chi le faceva l’interrogatorio.
Spesso le donne vengono aggredite verbalmente con volgarità sessuali e riferimenti ai genitali per strada quando vengono arrestate e successivamente nei centri di detenzione temporanea – conclude. Una delle situazioni che rende possibile l’aggressione sessuale fisica e verbale alle donne è quando vengono inviate dalla prigione di Qarchak al centro investigativo criminale di Shapur. Shapur è uno dei centri di detenzione più famigerati e terrificanti di Teheran, dove si svolgono i cosiddetti “interrogatori tecnici” in cui di solito picchiano i detenuti, li fanno penzolare dal soffitto e li torturano fisicamente per costringerli a confessare. Un numero significativo di detenuti è morto durante gli interrogatori lì.
Intanto, da quando sono cominciate le proteste accese dalla morte di Mahsa Amini dopo essere stata arrestata per violazione delle regole sul velo sono state uccisi anche tantissimi minori nel tentativo di reprimere le manifestazioni. Ultima la piccola Saha Etebari, di appena 12 anni, morta ammazzata dagli agenti del regime hanno aperto il fuoco contro l’auto dove viaggiava assieme ai suoi genitori nella provincia di Hormozgan.
Una carneficina, mentre il resto del mondo è distratto da altro.
Seguici su Telegram | Instagram | Facebook | TikTok | Youtube
Leggi anche: