“Io sono un po’ matto e tu?”: il Teatro Patologico di Roma rivoluziona lo sguardo sulla disabilità

Ribaltare i ruoli, capovolgere il mondo. Il Teatro Patologico di Roma, fondato da Dario D’Ambrosi, ha rivoluzionato la percezione della disabilità attraverso la teatro-terapia, trasformando fragilità in forza e inclusione in arte. Ora, con il film "Io sono un po' matto e tu?", il suo potente messaggio sbarca al cinema

Nel grande universo della disabilità, esiste una realtà capace di offrire una visione unica e rivoluzionaria, capace di stravolgere il concetto stesso di “normale” e “diverso”, trasformando fragilità e silenzio assordante in forza e poesia. Si tratta della straordinaria esperienza del Teatro Patologico di Roma, nato nel 1992 dalla mente di Dario D’Ambrosi, padre della teatro-terapia in Italia. L’arte creata su quel palco non è soltanto spettacolo, ma inclusione e sensibilizzazione a tutti gli effetti, a tal punto da essere portata fin dentro l’ONU.

In un contesto storico e sociale come quello attuale, in cui la disabilità è ancora troppo spesso relegata ai margini, il Teatro Patologico ha aperto, invece, la via a un approccio terapeutico che unisce la dimensione creativa con il lavoro su sé stessi, offrendo ai partecipanti la possibilità di esprimere paure, sogni, ansie e desideri. Al suo interno la comunicazione della disabilità assume una nuova dimensione, abbattendo ogni stigma e mettendo al centro l’essere umano, con tutte le sue fragilità.

Un teatro rivoluzionario

Il Teatro Patologico non è solo una compagnia teatrale, ma un vero e proprio laboratorio di vita, in cui la teatro-terapia diventa efficace strumento di inclusione sociale. Gli attori, persone con disabilità fisiche, psichiche, intellettive e disagio sociale, partecipano all’ideazione di ogni spettacolo fin dalla soglia dell’improvvisazione, per approdare alla messa in scena finale, imparando di conseguenza a dire ciò che spesso resta inespresso o inascoltato.

L’inclusione, intesa nel suo vero significato, è la chiave principale di ogni progetto, minuziosamente considerata non solo come valore sociale, ma come parte stessa dell’opera artistica. In tal senso, il teatro è un luogo in cui l’attore non è solo un mezzo di recitazione, dunque compagno del regista, ma un vero e proprio protagonista, capace di creare performance che conducono il pubblico a a una visione differente e più responsabile della disabilità. Questo approccio riflette i principi dell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), che vede la disabilità non come una limitazione intrinseca, ma come il risultato dell’interazione tra individuo e ambiente.

Le performance non si limitano al palco: offrono un’esperienza che va oltre il teatro, trasformando la rappresentazione in un atto di sensibilizzazione collettiva, profonda, pura e spontanea, raccontando storie che diventano una finestra su mondi ignorati dalla società, al fine di restituire vera dignità a chi troppo spesso viene messo da parte.

Tale visione trae ispirazione anche dal percorso personale di Dario D’Ambrosi. Prima di fondare il Teatro Patologico, infatti, la sua carriera aveva preso una direzione molto diversa nel mondo del calcio, che ne ha fortemente influenzato la visione e l’efficacia dell’azione del lavoro di squadra:

La mia visione di inclusione e trasformazione parte proprio dal mio percorso personale, come giocatore  nelle giovanili del Milan, che mi ha insegnato il valore del lavoro di squadra. In una squadra, se non ci metti amore, passione e rispetto reciproco, non puoi raggiungere il risultato sperato. Questo principio lo porto anche nel mio lavoro con il Teatro Patologico. Ogni attore, ogni partecipante dà tutto sé stesso, senza risparmiarsi, e solo così lo spettacolo arriva al pubblico, tocca le corde dell’anima. È quello che abbiamo fatto anche con il film ‘Io sono un po’ matto e tu?’, un film delizioso e ironico che parla di disagio psichico, ma lo fa in un modo che tutti possono apprezzare. È un film che porta a riflettere, ma anche a ridere e a commuoversi. E questo è il mio obiettivo: portare la stessa intensità e dedizione che si vede nel campo da calcio, dove nessuno si risparmia e si lavora bene se tutta la squadra funziona, spiega D’Ambrosi a GreenMe.

La potenza del cinema: “Io sono un po’ matto e tu?”

Il film” Io sono un po’ matto e tu?”, realizzato dal regista del Teatro Patologico Dario D’Ambrosi, è un’estensione naturale di questa sua squadra. Non si tratta solo di un’opera cinematografica, ma di un’impresa significativa, in cui gli attori del Teatro Patologico prendono il ruolo di tutor psichiatrici e si occupano di attori famosi che soffrono di insicurezza e nevrosi. La pellicola, proiettata nelle sale italiane il 7, 8 e 9 ottobre 2024, rappresenta, dunque, un ulteriore strumento di sensibilizzazione.

Ambientato tra i luoghi iconici di Roma, questo film sviluppa un racconto che oscilla tra il comico e il drammatico. Le star del cinema italiano, tra cui Claudio Santamaria, Raul Bova, Stefano Fresi e Claudia Gerini, mettono in scena le loro vulnerabilità, creando un rapporto profondo e toccante con gli attori del Teatro Patologico.

La sua forza risiede nel ribaltamento dei ruoli tradizionali: le persone con disabilità diventano figure di riferimento per attori professionisti, un chiaro messaggio sull’importanza di abbattere le barriere e di ridefinire il concetto di normalità.

Chi è normale? Chi è matto? Chi è disabile?

Questo non è un film che rappresenta i malati di mente come figure spaventose. Al contrario, mostra patologie in cui tutti noi possiamo riconoscerci, come l’insonnia, la balbuzie, la ludopatia. In Italia, ci sono 17 milioni di persone che soffrono di disturbi mentali, e se consideriamo anche i familiari, raggiungiamo due terzi della popolazione. Io lo dico sempre: il malato serve a giustificare e a dimostrare il sano. Loro sono il sale della vita, perché ci mostrano quello che siamo e ci fanno riflettere. Se ci pensiamo bene, quindi, tutto questo non riguarda solo i malati, ma tutta la società. Questo è il messaggio che voglio far passare: non dobbiamo ignorare questa realtà, dobbiamo riflettere e aiutare questi giovani a vivere una vita migliore.

Un messaggio profondo

D’Ambrosi dimostra, dunque, anche sul grande schermo che ogni persona, indipendentemente dalla propria condizione, ha qualcosa di unico e prezioso da offrire. Lontano dai toni compassionevoli o paternalistici, ci mostra quanto la disabilità non sia un limite, ma una diversa modalità di esistere, di vivere il mondo e di esprimere emozioni. Chi ne è toccato non è un soggetto da proteggere o compatire, ma un individuo capace a suo modo di offrire un contributo prezioso alla società.

Un nuovo sguardo sulla disabilità

Tutto questo è un esempio straordinario di come l’arte possa cambiare le vite. Non solo di chi vi partecipa, ma anche di chi la osserva. Ogni spettacolo, ogni film, ogni iniziativa del Teatro Patologico ci ricorda che la vera inclusione si manifesta quando cessa di essere percepita come tale, quando smette di essere un atto intenzionale e diventa una realtà intrinseca alla nostra società. Avverrà davvero quando non ci sarà bisogno di “includere”. Quando le persone con disabilità saranno non destinatari di questa “inclusione”, ma esseri umani a pieno titolo, parte di una comunità che trova nella diversità la propria forza.

Tale visione ha radici profonde nelle esperienze personali di D’Ambrosi. L’esperienza in un manicomio ha influenzato profondamente il suo approccio alla disabilità:

Io sono un po’ matto e tu? è proprio questo, una domanda aperta, una provocazione. Chi lo sta dicendo? Chi sta rispondendo? In fondo, la ‘pazzia’ è una condizione che ci tocca tutti, in un modo o nell’altro, e il disagio di cui parliamo nel film è qualcosa in cui chiunque può riconoscersi. Ho voluto raccontare una realtà che rompe gli schemi, dove non sono solo i professionisti a guidare il processo, ma i miei ragazzi disabili si vestono da psichiatri, diventano tutor, insegnanti di vita per gli attori professionisti. Questa inversione di ruoli è fondamentale perché cambia la percezione del pubblico sulla disabilità, aggiunge D’ambrosi.

Non solo qualcosa da ‘curare’ o ‘gestire,’ ma una risorsa, una prospettiva diversa.

Io sono un po’ matto e tu? non è solo un film, è un’opportunità per fare la differenza. Con il vostro sostegno, non solo state contribuendo alla visione del film, ma potete dare valore a un progetto di ricerca scientifica che ha il potenziale di cambiare la vita di molti ragazzi disabili. Il vostro sostegno non è solo un gesto simbolico, ma un contributo reale, conclude il regista.

@Teatro Patologico

L’approccio del Teatro Patologico ci spinge a mettere in discussione le nostre certezze e a superare i pregiudizi, incarnando perfettamente il pensiero di Amartya Sen e Martha Nussbaum e il loro “capability approach“. Non basta offrire assistenza: è necessario creare ambienti in cui ogni individuo, a prescindere dalle sue abilità, possa esprimere pienamente il proprio potenziale e partecipare attivamente alla vita sociale e culturale, conducendo una vita piena e significativa.

Al Parioli di Roma il Teatro Patologico porta in scena la favola di Pinocchio alla rovescia

Per il 21 e 22 ottobre è in programma uno spettacolo gratuito e aperto alla cittadinanza per promuovere il dialogo sul diritto alla salute e ad una socialità inclusiva e sbarca al Teatro Parioli di Roma “Pinocchio: una favola alla rovescia”, a cura della Compagnia stabile del Teatro Patologico, che darà una rilettura innovativa del percorso di crescita del burattino di Collodi, alle prese con il suo sogno di diventare un bambino vero.

Una reinterpretazione della favola che ha lo stesso obiettivo del film: mettere in luce quanto il mondo possa essere crudele verso chi è diverso, offrendo una nuova prospettiva e stimolando riflessioni profonde sull’accettazione e la comprensione delle imperfezioni umane.

Non resta che lasciarsi ispirare e, magari, diventare un po’ più matti anche noi, fino a capovolgere il mondo.

Trovate la lista dei cinema che aderiscono alla proiezione del film “fuori dagli schemi” qui.

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