Il 19 gennaio del 1966 Indira Gandhi veniva eletta prima ministra dell’India, scrivendo la storia del Paese asiatico

57 anni fa Indira Gandhi fu eletta prima premier donna dell'India. Figura centrale nel Congresso Nazionale Indiano, a lei si deve il merito di aver innalzato il subcontinente indiano al ruolo di grande potenza e di aver governato una delle più popolose democrazie del mondo in uno dei periodi più difficili della sua storia.

Fu freddata da due uomini di etnia Sikh della propria scorta personale per “pura” vendetta il 31 ottobre del 1984 e da allora non passa anno che non si ricordi questa donna capace di trascinare il suo Paese verso una età decisamente più moderna nel giro di pochi decenni.

Non ho l’ambizione di vivere a lungo, ma sono fiera di mettere la mia vita al servizio della nazione. Se dovessi morire oggi, ogni goccia del mio sangue fortificherebbe l’India”, disse Indira la sera prima di essere assassinata.

La vita di Indira Gandhi

Al secolo Indira Priyadarshini Nehru, era l’unica figlia di Kamla e Jawaharlal Nehru, che fu il primo presidente dell’India indipendente. Tanto le bastava per essere sin dalla più tenera età praticamente sommersa nella lotta per l’indipendenza dell’India dagli inglesi, lotta che coinvolgeva ogni membro della sua famiglia: i nonni, gli zii (tra i quali Vija Lakshmi Pandit, prima donna chiamata a presiedere l’ONU) e i genitori stessi ciclicamente venivano arrestati per reati contro l’Impero Britannico.

Nata nel 1917, dovette fin da subito fare i conti con la solitudine, a causa della morte prematura del fratello e della madre per tubercolosi e dell’assenza del padre. La sua educazione fu affidata allora ad alcuni tutori e alla Modern School di Delhi, cui seguì l’iscrizione alla Ecole Internationale di Ginevra e alla Viswa Bharati University di Shantiniketan. Abbandonò l’università per seguire la madre malata in Europa e alla sua morte decise di completare gli studi a Oxford che però furono continuamente interrotti a causa del suo stato di salute cagionevole che la costrinse a cambiare più volte le città dove studiare.

Nel 1940, in seguito alla conquista dell’Europa da parte dei nazisti, Indira si trovava in Svizzera e da lì provò a raggiungere l’Inghilterra, senza successo. Decise allora di tornare in India. Lì sposò Feroza Gandhi (che non ha alcuna parentela col Mahatma) e da qui il cognome acquisito con cui è nota tutt’oggi.

Negli anni ’50 lavorò per il padre, in quel momento Primo Ministro dell’India e alla fine del decennio divenne presidentessa dell’Indian National Congress. Dopo la morte del papà nel 1964, fu nominata Ministro dell’Informazione e delle Telecomunicazioni nel governo di Lal Bahadur Shastri e il 19 gennaio del 1966 fu eletta Primo Ministro. Sarà la prima ministra donna dello stato indiano.

Ma in pochi anni il partito si spaccò tra progressisti e conservatori e, tra accuse di brogli elettorali nel 1975 e un’ondata di proteste, Indira proclamò lo stato di emergenza e la sua figura perse consensi. Fu nel 1977 che il Paese tornò alle urne e il suo partito venne sconfitto e Indira, un anno dopo, fu incarcerata per alcuni giorni.

I due governi che si succedettero fino alla fine del 1979, una volta ripristinati i diritti civili, non seppero proporre nulla di concreto e nuove elezioni vennero indette per il gennaio 1980. Indira, intanto, tornò una affermata e carismatica capo dell’opposizione fondando anche un nuovo partito.

Vinse le elezioni, che le consentirono di ritornare alla guida del governo. Il suo secondo mandato iniziò il 14 gennaio dell’80, ma fu tutt’altra storia, tanto che non portò ai precedenti progressi economici e industriali, ma fu segnato dai tumulti nazionali: nel nord-est gli Stati tribali erano in fermento e l’URSS aveva invaso l’Afghanistan. Indira decise di ricorrere all’esercito per domare le rivolte politiche e sociali e alle forze dell’ordine per imprigionarne i capi.

Nei primi anni ’80 si sviluppò in India un movimento Sikh che mirava all’indipendenza del Punjab indiano, ma Indira Gandhi scatenò contro i guerriglieri un’offensiva militare che espugnò il Tempio sacro dei Sikh con un bombardamento e una sanguinosa occupazione, uccidendo molti Sikh.

Fu l’inizio della fine.

Indira Gandhi

©Library of Congress, Washington, D.C. (LC-USZ62-134157)

I Sikh e l’attentato

Tra i meriti dei Sikh, abitanti del prospero stato del Punjab, ci fu quello di aver reso la regione la più ricca di tutta l’India, con il 92% delle terre coltivabili irrigate artificialmente e la totalità dei villaggi serviti dall’energia elettrica. E non solo: i Sikh volevano anche fondare uno stato autonomo con il nome di Khalistan, seguendo anche la loro profonda diversità religiosa: sono indù alle origini, ma per lo più sono monoteisti e professano l’uguaglianza tra gli uomini, rinnegando la suddivisione in caste.

Tutto il 1983 fu un anno di dimostrazioni e proteste che Indira represse. Ma nell’estate del 1984 la comunità Sikh si radunò in armi a Amritsar intorno al proprio leader, reclamando una volta per tutte l’indipendenza. Indira e inviò l’esercito con il compito di sedare la rivolta e diede vita all’operazione “Blue Star”, un vero assalto a ciò che di più sacro poteva esistere per il popolo Sikh. Allora, più di 600 persone furono uccise dai soldati governativi.

I Sikh invocare subito vendetta che non si fece attendere. Indira non si curò delle minacce di morte, tanto che mantenne nella propria scorta personale due Sikh. E così, il 31 ottobre 1984, mentre stava andando in visita all’attore americano Peter Ustinov a New Dehli, fu assassinata da quelle stesse due persone. La vendetta promessa era stata ottenuta. Tuttavia, la linea familiare al governo dell’India non si interruppe e Rajiv Gandhi sostituì la madre come Primo Ministro.

Nei giorni successivi alla morte di Indira, i Sikh furono oggetto di veri massacri, con oltre 3000 morti ingiustificate.  Nel 1991, fu la volta di Rajiv, ucciso da un attentato dinamitardo durante un raduno elettorale.

Fonte: Thought.Co

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