Abusi di diritti umani, sistematici e diffusi commessi dai guardaparco finanziati dal Wwf e da altre grandi organizzazioni della conservazione nel bacino del Congo. Un nuovo rapporto di Survival International lancia l’accusa e descrive dettagliatamente episodi di violenza.
Abusi di diritti umani, sistematici e diffusi commessi dai guardaparco finanziati dal Wwf e da altre grandi organizzazioni della conservazione nel bacino del Congo. Un nuovo rapporto di Survival International lancia l’accusa e descrive dettagliatamente episodi di violenza.
Da tempo Survival, il movimento che tutela i popoli indigeni documenta casi gravi di abusi e punta il dito contro il Wwf, nel nuovo report si parla di quelli avvenuti dal 1989 ad oggi in Camerun, nella Repubblica del Congo e nella Repubblica Centroafricana (CAR) ‘per mano di guardaparco finanziati ed equipaggiati dal WWF e dalla Wildlife Conservation Society (WCS), l’organizzazione legata allo zoo del Bronx di New York’.
Oltre duecento casi che includono l’uso di cera bollente sulla pelle nuda, pestaggi, e mutilazioni con machete incandescenti.
‘Questi incidenti rappresentano probabilmente solo una piccola porzione di un fenomeno più vasto fatto di violenze sistematiche, di pestaggi, torture e persino morte, che continua ancora oggi’, scrive Survival.
Ma non solo, nel report pubblicato online si parla anche di tutte le forme di persecuzione che subiscono le popolazioni indigene come minacce e distruzione di villaggi e oggetti personali.
“Questo rapporto scioccante illustra dettagliatamente gli abusi e le persecuzioni che la ‘conservazione’ ha portato ai popoli indigeni e tribali del bacino del Congo.Questi sono solo i casi che abbiamo documentato, e non si può pensare che non ne esistano molti altri ancora ignoti”, ha dichiarato Stephen Corry, direttore generale di Survival.
Come Survival, numerosi esperti indipendenti e Ong hanno manifestato la propria preoccupazione per questi abusi negli ultimi tre decenni. Tra questi vi sono Greenpeace, Oxfam, UNICEF, Global Witness, il Forest Peoples Programme, e ricercatori specializzati della University College London, dell’Università di Oxford, dell’Università di Durham e dell’Università di Kent.
Foto: WWF
Secondo Survival:
“Il Wwf e la WCS hanno stretto partnership con numerose compagnie dell’industria del legno, nonostante esistano prove che le loro attività sono insostenibili, e non hanno ottenuto il consenso dei popoli indigeni come previsto dalla legge internazionale e dalle loro stesse politiche interne”.
Parole che troverebbero riscontro nelle testimonianze raccolte dal movimento:
“Un guardaparco mi ha chiesto di inginocchiarmi, e io gli ho risposto che: ‘Mai, non potrò mai fare una cosa simile.’ Allora lui mi ha risposto: “Se non lo farai, ti picchierò”, ha detto un uomo bayaka a Survival.
“Mi hanno portata in mezzo alla strada e mi hanno legato le mani con una corda di gomma. Mi hanno messo le mani dietro alla schiena e mi hanno ferita con un machete”, ha detto una donna baka.
Ancora una donna bayaka ha riferito: “Hanno iniziato a prendermi a calci su tutto il corpo… Avevo il mio bambino con me. Era nato soltanto tre giorni prima”.
“Le grandi organizzazioni della conservazione, come il Wwf, stringono partnership con l’industria e il turismo, e stanno distruggendo i migliori alleati dell’ambiente. Oggi i popoli indigeni vengono accusati di “bracconaggio” perché cacciano per nutrire le loro famiglie. E mentre i collezionisti di trofei sono incoraggiati a uccidere grandi animali in cambio di denaro, gli indigeni rischiano arresti, pestaggi, torture e morte”, ha concluso Corry.
La risposta del WWF
A seguito delle accuse mosse da Survival International, greenMe.it ha contattato Wwf Italia, ecco la risposta integrale:
Le accuse avanzate oggi da Survival sono per il WWF una reiterazione di illazioni già avanzate in passato e alle quali abbiamo già risposto offrendo la massima collaborazione nel trovare soluzioni concrete a tutela dei Baka. Il nostro obiettivo è quello di trovare soluzioni durature per proteggere le foreste e la fauna selvatica vitali per le popolazioni indigene.
Il WWF lavora in 100 paesi e sa che le popolazioni e la natura sono due facce della stessa medaglia: non si può proteggere la fauna selvatica senza le comunità e per questo il lavoro dell’Associazione può e deve sostenere le comunità di benefici quanto più possibile.
Respingiamo poi decisamente al mittente l’accusa di lavorare sul territorio senza il coinvolgimento delle popolazioni locali: la tutela dell’ambiente è imprescindibile dal coinvolgimento di chi vive in quelle aree.
Negli ultimi due decenni, in circostanze estremamente impegnative, tra cui la militarizzazione e il pregiudizio di lunga durata verso le comunità, abbiamo lavorato con i popoli indigeni per fornire loro assistenza nell’educazione, assistenza sanitaria. La nostra priorità rimane la stessa: lavorare con i Baka, per i Baka.
Frederick Kwame Kumah, direttore dell’Ufficio Regionale dell’Africa del WWF, ha dichiarato:
“Siamo scioccati nel leggere notizie di violenze o abusi di persone, dei loro diritti e delle loro comunità: questo per noi è assolutamente inaccettabile. Abbiamo ripetutamente chiesto a Survival International di condividere informazioni che potrebbero aiutarci a spingere ad agire le autorità, che impiegano guardie tra cui anche guardia-parco. Ma finora Survival International ha rifiutato di collaborare, anche nel recente processo di mediazione avviato da loro, o di venire in Camerun e trovare soluzioni durature con noi”.
Solo a titolo di esempio, uno dei tanti sforzi di tutela del WWF verso le persone e l’ambiente è stato lodato dal relatore speciale delle Nazioni Unite come esempio di “best practice” nel 2016: si tratta del lungo lavoro di richiesta e pressione sul governo camerunense affinché venga formalizzato ed esteso il libero consenso informato gratuito (FPIC) per le popolazioni locali.
Nelle aree protette create prima dell’esistenza di questo il WWF lavora ancora oggi con le comunità e le autorità per elaborare piani di gestione che possono contribuire a salvaguardare l’uso e l’accesso delle risorse naturali alle comunità in modo sostenibile. In Camerun, ad esempio, il nostro personale, quasi un terzo dei quali in Bayanga che proviene dalle comunità indigene, ha lavorato con i Baka, le autorità locali e i partner per contribuire a definire le modalità di caccia da parte delle comunità tra le due parti del Dzanga e Ndoki Nazionale Park.
Una Zona particolare dedicata a questa attività è stata creata non solo per la caccia ma anche per consentire alle comunità indigene a continuare a promuovere la propria cultura tradizionale.
Continua Kumah – “L’obiettivo di Survival International non è chiaro e non si capisce se vogliono veramente aiutare i Baka. Non hanno ufficiali o uffici in loco e hanno costantemente rifiutato di lavorare con i partner a beneficio delle comunità e dell’ambiente.
Da loro arrivano critiche da lontano ma non comprendono le sfide o i successi che sperimentiamo quotidianamente sul terreno. Se volessero davvero aiutare le popolazioni locali, dovrebbero collaborare per trovare soluzioni e creare un vero e proprio cambiamento duraturo.
Ad esempio, colpisce il fatto che Survival International abbia deciso di abbandonare il processo di mediazione avviato con il NCP (punto di Contatto Nazionale dell’OCSE) in Svizzera. Non solo questa azione è irrispettosa del processo, ma è anche irresponsabile e sottolinea l’assenza di comprensione delle questioni sul terreno e ci ha dimostrato chiaramente la mancanza di impegno a trovare soluzioni a lungo termine.”
Lo stesso Punto di contatto nazionale svizzero per l’OCSE ha espresso il suo rammarico per la violazione della riservatezza attuata da SI e ha sottolineato che «non è d’accordo con la descrizione del processo di mediazione» (dichiarazione del 7 settembre 2017). Dal rispetto di questo processo guidato da NCP, il WWF non commenterà ulteriormente i procedimenti riservati.
Dominella Trunfio
Foto: © Survival International