Esiste tuttavia una relazione proporzionale tra il livello di sviluppo di un Paese e il benessere dei suoi cittadini? In altri termini, all’aumentare del PIL di un Paese aumenta la felicità di chi lo abita? Intorno a questo interrogativo si è sviluppato un dibattito a livello europeo che già nel 2010 ha dato avvio, in Inghilterra, a un programma di ricerca sul benessere nazionale.
Se qualcuno vi telefonasse chiedendovi “Quali sono i fattori che contano di più nella vostra vita?” o ancora “Come ti senti oggi?”, presentandosi come delegato dell’Ufficio Nazionale di Statistica, come reagireste? Probabilmente chiudendo il telefono in faccia al vostro interlocutore e pensando che la gente sia tutta pazza.
In Inghilterra invece vi direbbero che è normale e che è il primo ministro David Cameron ad aver commissionato la ricerca. Un progetto da due milioni di sterline che mira a individuare le basi scientifiche che consentiranno di sostituire la felicità al PIL (Prodotto Interno Lordo) nel ruolo di parametro economico e sociale del benessere di una Nazione.
Da qualche anno, economisti e amministratori hanno iniziato a mettere in evidenza la criticità del PIL, la misura internazionale generata dalla sommatoria dei valori dei beni prodotti in un dato Paese e provenienti dai vari settori economici. “Il PIL è aumentato di 1,5%” oppure “leggera flessione del Pil nel corso dello scorso trimestre rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente” sono espressioni spesso entrate in cucina, all’ora del pranzo. Esiste tuttavia una relazione proporzionale tra il livello di sviluppo di un Paese e il benessere dei suoi cittadini? In altri termini, all’aumentare del PIL di un Paese aumenta la felicità di chi lo abita? Intorno a questo interrogativo si è sviluppato un dibattito a livello europeo che già nel 2010 ha dato avvio, in Inghilterra, a un programma di ricerca sul benessere nazionale.
Quel progetto, oggi, fornisce i primi risultati. Il primo è innanzitutto che il benessere è misurabile alla stregua dell’economia. “È importante che il set di misure prescelte sia rilevante e stabili rispetto a ciò che la popolazione reputa importante, sia in quanto cittadini sia in quanto Nazione” dice Jill Matheson, statistico.
In altre parole esiste una felicità soggettiva che dipende dai nostri personali sentimenti e una oggettiva che invece si determina sulla base di ciò che accade intorno e incide sul nostro quotidiano.
I primi dati emessi dall’Istituto Nazionale di Statistica per esempio hanno messo in evidenza come nella vita personale i fatti rilevanti per la propria serenità siano (nell’ordine): salute, buoni rapporto con amici e parenti, buoni rapporti con il/la partner, soddisfazione lavorativa e sicurezza economica, condizioni ambientali presenti e future. L’ordine cambia se inserito nell’ottica di una politica di supporto nazionale: la salute e la garanzia di poter soddisfare le proprie esigenze economiche diventano priorità collettive, mentre per esempio l’accesso a contesti ambientali verdi e sani si riduce alla sfera locale invece che sociale.
L’elaborazione dei primi responsi ha attivato un tavolo di lavoro con le istituzioni governative che dovranno recepire le indicazioni e iniziare delle politiche strategiche allineate ai risultati. I primi passi sono stati quelli di individuare le piattaforme sociali di intervento capaci di incidere sui parametri individuati.
La felicità dell’infanzia, per esempio, è il fulcro di una serie di interventi che afferiscono al welfare, ma anche all’eduzione, all’ambiente e alla qualità del nido famigliare. “La vera misura di qualità di una Nazione sta in quanta attenzione pone ai bambini” dice l’Unicef.
L’economia e l’ineguaglianza economica rappresentano un elemento di continuità rispetto ai classici criteri del PIL. Qui, tuttavia, la lettura del valore della ricchezza prodotta complessivamente dal Paese è fatta cercando di mettere in rilievo gli squilibri tra merci prodotte e sacche di povertà e ignoranza.
La salute è spesso strumento di valutazione dello stato di disuguaglianza di un Paese: sono in genere i più poveri a morire. Questo fa emergere un problema che l’economia non risolve ma che la società al contempo patisce.
Infine il rapporto tra vita lavorativa e tempo libero inteso come quel delta entro il quale si infilano attività culturali, sportive e ricreative che non vengono normalmente calcolate ma che sono spesso determinanti nel bilancio psicologico e di vita di una persona.