Almeno 50 persone sono state uccise finora e si sono intensificati anche gli arresti diffusi di manifestanti e attivisti per i diritti civili. Il popolo iraniano è sceso in piazza per i suoi diritti fondamentali e la dignità umana dopo la morte di Mahsa Amini. Ma le proteste pacifiche vengono accolte con i proiettili, mentre il presidente dell'Iran rifiuta un'intervista a una giornalista senza velo
Internet è stato bloccato in alcune parti dell’Iran e l’accesso a piattaforme come WhatsApp e Instagram è interdetto. In Iran le donne (ma anche gli uomini) protestano da 8 giorni per i loro diritti e per la dignità umana. Ma questo significa rischiare la vita.
Le rivolte sono state innescate il 16 settembre dalla morte di una donna curda di 22 anni, Mahsa Amini, che era stata arrestata dalla “polizia morale” per aver indossato l’hijab in modo “improprio”. Le immagini che seguono il funerale di questa ragazza sono commoventi ed emozionanti: ragazze che si tagliano i capelli davanti allo specchio, una madre che si toglie il velo in strada con aria di sfida accanto alle giovani figlie, donne che consegnano i loro hijab alle fiamme al centro delle piazze, migliaia di persone che scendono in strada sfidando percosse, gas lacrimogeni e persino proiettili.
La televisione di stato iraniana ha parlato di circa 35 vittime delle proteste, ma i numeri non tornano affatto. Sono almeno 50 le persone rimaste uccise nella repressione delle proteste in Iran. Lo ha reso noto l’ong Iran Human Rights (IHR) che ha sede ad Oslo. Diversi video pubblicati sui social media mostrano le forze di sicurezza che mirano direttamente ai manifestanti con fucili spianati.
https://twitter.com/dariush_Zand/status/1573386068501876736?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1573386068501876736%7Ctwgr%5E1c3ac2e5fd60ea7b3690e6172df498c32b991bac%7Ctwcon%5Es1_&ref_url=https%3A%2F%2Fd-215309644639208084.ampproject.net%2F2209072154000%2Fframe.html
Intanto il Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran Ebrahim Raisi ha cancellato all’ultimo minuto un’intervista con la Cnn, a margine dei lavori dell’Assemblea Generale di New York, perché la giornalista Christiane Amanpour non ha voluto indossare il velo.
“Gli Stati membri delle Nazioni Unite devono andare oltre le dichiarazioni sdentate, ascoltare le grida di giustizia delle vittime e dei difensori dei diritti umani in Iran e istituire urgentemente un meccanismo investigativo indipendente delle Nazioni Unite”, ha affermato Heba Morayef, Direttore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa.
Amnesty ha affermato che le prove raccolte questa settimana di nuove violenze in 20 città e 10 province dell’Iran indicano un “forze di sicurezza iraniane che sparano deliberatamente e illegalmente proiettili veri contro i manifestanti”.
Per questo la protesta, che parte dai capelli e dal velo, ma arriva al cuore, è straordinaria. Anche gli uomini si stanno unendo al movimento guidato dalle donne. La richiesta primaria non è la fine dell’hijab, ma la sua imposizione. L’Iran ha una lunga storia di decisioni su ciò che le donne possono indossare: negli anni ’30, si proibì l’hijab; dopo la rivoluzione del 1979, si rese obbligatorio. I dettagli e l’applicazione del codice di abbigliamento obbligatorio sono variati nel corso degli anni.
Le grida dei manifestanti “donne, vita, libertà” vanno oltre la denuncia iniziale: si tratta di libertà e diritti in un senso ben più ampio di giustizia. Sono coraggiose, i loro leader non le ascoltano. Anzi, le uccidono. Ma noi dobbiamo ampliare le loro voci. Facciamoci megafono.
Leggi anche: