Al primo turno delle presidenziali, lo scorso 2 ottobre, Lula ha chiuso al 48%: Nord e Nord-Est starebbero dalla sua parte. Bolsonaro ha resistito contro tutti i sondaggi tenendosi Sud e Sud-Est e fermandosi al 43%
Bolsonarismo contro Lulismo: il Brasile diviso in due arriva al ballottaggio di domani, domenica 30 ottobre, con le idee parecchio confuse. Trema il destino dell’Amazzonia, trema un’economia già in difficoltà, in mano a sondaggi sballati e al rischio brogli.
Sarà di fatto uno scontro tra due visioni contrastanti della crescita di un Paese gigantesco, che porta con sé il destino della foresta amazzonica e, dunque, dell’intero Pianeta.
Oggi il Brasile è il sesto Paese al mondo per emissioni di anidride carbonica proprio mentre — dicono dal Wwf — solo nei primi sei mesi del 2022, la deforestazione ha distrutto quasi 4.000 km² della foresta amazzonica brasiliana. In tutto, da quando Bolsonaro è salito al potere, oltre 40mila km² di foresta sono stati tagliati: un’area più grande del Belgio.
Il futuro dell’Amazzonia
È un dato di fatto che, durante i quattro anni in carica di Bolsonaro, la deforestazione sia aumentata del 74,65% e in soli tre anni dalla sua elezione il Paese ha perso 34.018 chilometri quadrati di foresta, un’area grande quanto il Belgio.
Quando Lula e il suo successore Dilma Rousseff hanno governato tra il 2004 e il 2016, invece, la deforestazione si è ridotta del 72%. Lula ha anche operato su una piattaforma pro-conservazione, giurando di invertire le deregolamentazione di Bolsonaro, riconfermare gli scienziati alle agenzie ambientali, rimuovere l’estrazione illegale dai territori indigeni, creare uno schema di prezzi del carbonio e formare nuove agenzie dedicate alla protezione dei diritti degli indigeni e al raggiungimento degli obiettivi del Accordo di Parigi sul clima.
Supponendo che Lula mantenga queste promesse e che entrambi gli uomini governino in linea con le loro politiche passate, una sconfitta per Bolsonaro e una vittoria per Lula potrebbero ridurre la deforestazione in Amazzonia dell’89% nei prossimi 10 anni, secondo una nuova analisi condotta per Carbon Brief da scienziati dell’Università di Oxford, dell’International Institute for Applied System Analysis e del National Institute for Space Research.
La ricerca si basa sul fatto che il leader brasiliano applichi o meno il Codice forestale, una legge approvata nel 1965 che rimane lo strumento principale del Paese per far rispettare la protezione delle foreste pluviali e che stabilisce, tra l’altro, che gli agricoltori abbiano l’obbligo di preservare una certa quantità di foresta sui loro terreni e riforestare le aree disboscate illegalmente.
Il fatto che venga implementato o meno ha un impatto non solo sull’Amazzonia, ma sul clima globale. Se non venisse applicato, le emissioni di gas serra del Brasile dovute al cambiamento dell’uso del suolo continuerebbero a contribuire alla crisi climatica fino al 2050. Ovvio è che, anche se Lula dovesse vincere, ciò non significherà che sarà facile per lui combattere la deforestazione. Si troverà piuttosto costretto a proporre un’alternativa iniziando tra l’altro il suo mandato con un budget ambientale estremamente ridotto.
Chi vincerà quindi? Secondo il più recente sondaggio dell’Istituto Datafolha, Lula sarebbe in testa nelle intenzioni di voto dei brasiliani, stabile al 49% contro 45% di Jair Bolsonaro.
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