Dal prossimo 20 novembre fischio di inizio per i Mondiali di calcio in Qatar. Da quando il torneo è stato assegnato al Paese arabo, nel 2010, la drammatica condizione del lavoro migrante è stata oggetto di una crescente attenzione. Ma non abbastanza, evidentemente. Perché mancano anche libertà d’espressione, di stampa e di associazione. E le donne e le persone appartenenti alla comunità Lgbtqia+ subiscono pesanti discriminazioni. Costantemente
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C’è un Paese che si chiama Qatar, tanto minuscolo quanto ultraricco (secondo stime ONU è al secondo posto, dopo il Liechtenstein, per reddito pro capite con 92mila dollari nel 2019), nella Penisola arabica e a due passi dagli Emirati Arabi. Col suo dirimpettaio, l’Iran (i due Paesi sono separati dal Golfo Persico), è comproprietario del più grande giacimento offshore al mondo di gas naturale, il South Pars-North Dome, a cavallo tra le rispettive acque territoriali.
Insomma qui, a Doha, la capitale, tutto è pronto ad ospitare gli imminenti Mondiali di calcio, su cui – però – calano sempre più pressanti le ombre di diritti civili calpestati.
D’altronde, diranno in molti, cosa ci si può aspettare di più da una monarchia ereditaria de facto (Tamim bin Hamad ora al potere è il quarto figlio dello sceicco Hamad bin Khalifa Al Thani), che già in partenza avrebbe sotterrato la concorrenza di Stati Uniti, Australia e Giappone nell’assegnazione del torneo e che possiede il PSG, la squadra francese per antonomasia e tra le più quotate al mondo?
Nulla se non ci si dimenticasse di altro: una legge cibernetica del 2014, per esempio, ha posto limitazioni alle libertà di parola e al diritto di libera espressione. In pratica, le autorità possono punire “contenuti che potrebbero danneggiare il paese” con un periodo di reclusione di massimo 3 anni e una multa di circa 500mila QR (Qatari Reals, pari a circa 130mila euro). E non solo: lavoratori e le lavoratrici migranti continuano a essere vittime di sfruttamento e di lavoro forzato e le donne e le persone appartenenti alla comunità Lgbtqia+ subiscono costantemente repressioni.
Perché il Qatar è così ricco?
Perché la sua economia si basa su gas naturale e petrolio, che contribuiscono al 55% delle entrate statali, al 90% delle esportazioni e al 45% del PIL. Il Qatar è il terzo produttore mondiale di gas (dopo USA, Russia e Iran) ed è il primo esportatore di gas naturale liquefatto (GNL).
Uno dei suoi giacimenti, il North Dome Gas Field, è il terzo più grande al mondo, dopo quelli di Russia e Iran, per riserve di gas naturale accertate (oltre il 10% circa delle riserve globali).
Ma ricchezza non vuol dire diritti civili rispettati, anzi
Niente liberà di associazione e di manifestazione: i lavoratori migranti non hanno la possibilità di aderire a sindacati né tantomeno di crearli. Possono rientrare nei cosiddetti comitati congiunti, ossia degli organismi diretti dai datori di lavoro nei quali è consentita una rappresentanza dei lavoratori, ma oggi ne fa parte solo il 2% dei lavoratori.
Nemmeno la libertà di manifestazione è garantita: cittadini locali e lavoratori migranti rischiano ripercussioni. Solo pochi mesi fa, centinaia di lavoratori migranti sono stati arrestati ed espulsi per aver fatto un corteo nella capitale Doha contro l’azienda che non aveva versato loro i salari.
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Processi iniqui: secondo Amnesty, nell’ultimo decennio vi sono stati processi iniqui nei quali gli imputati hanno denunciato di essere stati torturati e condannati sulla base di “confessioni” estorte. Capita, inoltre, che le persone arrestate vengano interrogate in assenza degli avvocati, isolate dal mondo esterno e senza neanche l’ausilio di un interprete.
Diritti delle donne: subiscono discriminazioni sia dalla legge che nella vita quotidiana. Secondo il sistema del tutore maschile (marito, padre, fratello, ma anche un nonno o uno zio), le donne sono tenute a chiedere il permesso per sposarsi, studiare all’estero, lavorare nell’amministrazione pubblica, viaggiare all’estero se hanno meno di 25 anni e accedere ai servizi di salute riproduttiva.
Il diritto di famiglia rende molto complicato il divorzio. Se viene ottenuto, produce in ogni caso altre discriminazioni di natura economica. Le donne, inoltre, non hanno protezione da violenze domestiche e sessuali.
Persone LGBTQIA+: il codice penale criminalizza atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso e prevede il carcere per chi “guidi, induca o tenti un maschio, in qualsiasi modo, a compiere atti di sodomia o di depravazione”. Nell’ottobre 2022 le organizzazioni per i diritti umani hanno segnalato casi in cui le forze di sicurezza hanno arrestato persone Lgbtqia+ in luoghi pubblici, solo sulla base della loro espressione di genere, controllando i contenuti dei loro telefoni. Le transgender arrestate sono obbligate a seguire terapie per la conversione come condizione per la loro scarcerazione.
Diritti dei lavoratori e delle lavoratrici: mancati o ritardati salari, condizioni di lavoro insicure, nessun giorno di riposo, ostacoli alla ricerca di un nuovo lavoro e accesso limitato alla giustizia. In più, mai si è indagato sulla morte di migliaia di lavoratori e centinaia di migliaia di lavoratori migranti devono ancora ricevere un risarcimento per i danni subiti nello scorso decennio.
Il lavoro forzato esiste eccome, soprattutto ai danni dei lavoratori del settore della sicurezza privata e delle lavoratrici domestiche. Il pagamento di somme sproporzionate per ottenere un impiego (da 1000 a 3000 euro), si legge su Amnesty, porta a debiti che a ripagarli ci vogliono anni, contribuendo così a intrappolare i lavoratori in un ciclo di sfruttamento.
Libertà di espressione e di stampa: come dicevamo, in Qatar esistono leggi repressive per chi critica le istituzioni. Non può esistere, poi, una informazione indipendente né libertà di stampa (sussiste, per esempio, il divieto di girare riprese in edifici governativi, ospedali, università, alloggi per lavoratori migranti e abitazioni private)
Inquinamento e desalinizzazione per dei Mondiali per niente sostenibili
Nella capitale in soli 6 anni sono stati messi su ben 8 stadi, 7 dei quali dotati di impianti di aria condizionata all’esterno che consentono di avere una temperatura di una ventina di gradi nonostante il caldo torrido. Si tratta, è chiaro, di un enorme spreco di risorse, cui si va ad aggiungere un fatto che ha dell’incredibile.
In Qatar, infatti, non c’è accesso all’acqua dolce, ragion per cui irrigare gli stadi (c’è bisogno di almeno 10mila litri di acqua al giorno per i 144 campi tra stadi e centri d’allenamento per le nazionali e i 425mila metri quadrati di erba di riserva), vere e proprie cattedrali nel deserto, c’è bisogno di ricorrere alla desalinizzazione dell’acqua marina. Le conseguenze?
Per desalinizzare si devono utilizzare grandi quantità di combustibili fossili, soprattutto petrolio e gas. Il 43% della capacità mondiale di desalinizzazione proviene dai Paesi del Gulf Cooperation Council (GCC) e, nonostante la scarsità di acqua, i GCC ne sono tra i maggiori consumatori al mondo e dipendono fortemente dagli impianti di desalinizzazione. Gli Emirati Arabi Uniti, per esempio, hanno uno dei tassi di consumo di acqua pro capite più alti al mondo, con persone che consumano circa 500 litri al giorno, il 50% in più rispetto alla media globale.
World Cup host Qatar is among the world’s most water-stressed countries — a problem the tiny, wealthy emirate has largely paid its way out of thanks to expensive technology known as desalination.
Here’s a look at how it works. https://t.co/2rCQ09zUcd pic.twitter.com/QA9OzOwZIa
— The Associated Press (@AP) November 14, 2022
Ai fossili va aggiunto anche un altro neo al ricorso alla desalinizzazione, che è anche in grado di produrre un fluido salino di scarto che viene rilasciato nel mare. Al suo interno si trovano sostanze come clorina, metalli pesanti e agenti antischiuma, tali per cui l’acqua diventa più calda e tossica. Tutto ciò va a discapito, ovvio, dei coralli e degli organismi marini più piccoli e della biodiversità in generale.
Sicuri, insomma, di voler seguire i Mondiali?
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Fonti: Amnesty / The Guardian
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