un nuovo studio condotto sulle ossa ha scoperto la reale quantità di radiazioni assorbite dagli abitanti delle due città. In alcuni casi, erano pari a circa 9.46 grigi (Gy), una grande quantità di radiazioni ionizzanti
Gli effetti dell’attacco nucleare americano sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945 si sono protratti a lungo. Adesso un nuovo studio condotto sulle ossa ha scoperto la reale quantità di radiazioni assorbite dagli abitanti delle due città. In alcuni casi, erano pari a circa 9.46 grigi (Gy), una grande quantità di radiazioni ionizzanti.
Lo studio sulle ossa della mandibola appartenenti a una delle vittime del bombardamento nucleare sta dunque aiutando i fisici a misurare la dose di radiazioni assorbite dall’organismo, che provocarono la morte dei cittadini giapponesi.
Durante la fase finale della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti fecero esplodere due armi nucleari su Hiroshima e Nagasaki. La bomba atomica soprannominata “Little Boy” fatta esplodere su Hiroshima uccise all’istante 45.000 persone ma continuò a lungo a mietere vittime a causa delle radiazioni.
Fino a ora, la maggiore parte delle ricerche si erano concentrate sugli effetti delle radiazioni basate sull’esposizione. Sappiamo, ad esempio, che circa 1.900 persone, o circa lo 0,5% della popolazione post-bombardamento, morirono per tumori attribuibili al rilascio delle radiazioni.
Il nuovo studio condotto dai ricercatori brasiliani all’Università di San Paolo è diverso: è il primo a misurare l’esposizione alle radiazioni a esplosione diretta, utilizzando la mandibola di una vittima come dosimetro.
Per la ricerca, infatti, gli scienziati hanno misurato la quantità di radiazioni assorbita dalle ossa di una delle vittime, che si trovava a meno di un miglio di distanza (1,6 km) da dove era stata fatta esplodere la bomba.
Calcolare la quantità minima di radiazioni in grado di uccidere una persona non è semplice secondo i ricercatori, visto che la sopravvivenza dopo l’assorbimento di piccole e medie dosi di radiazioni dipende da quella delle cellule staminali responsabili della produzione di nuovi globuli rossi e globuli bianchi. Dalle staminali dipende anche la rigenerazione delle ossa, della pelle e di altri componenti del corpo.
Le cellule staminali non sono distribuite in modo uniforme nel corpo per questo le stime sugli effetti legati alle radiazioni sono variabili. Secondo il nuovo studio, quelle da 4 a 9 gray provocano una morte “lenta”. Una persona il cui corpo intero è esposto a 3-5 Gy può aspettarsi di morire entro un paio di settimane mentre da 10 a 20 gray si ha una morte quasi istantanea.
Una delle sfortunate vittime era a meno di un miglio dall’ipocentro della bomba. Utilizzando una tecnica chiamata risonanza paramagnetica elettronica (ESR), i ricercatori hanno stimato che la dose di radiazione della mandibola fosse di circa 9.46 grigi (Gy). Il grigio è dato dall’assorbimento di un joule di radiazioni ionizzanti di un chilogrammo (1 J / kg) di materia, ad es. tessuto umano.
In altre parole, è il doppio della quantità di radiazioni necessaria a uccidere un essere umano al punto da distruggere totalmente il midollo osseo.
Il metodo innovativo utilizzato dai ricercatori brasiliani fu dimostrato per la prima volta negli anni ’70 da Sérgio Mascarenhas, che all’epoca insegnava presso l’Istituto di Fisica São Carlos dell’Università di São Paulo (IFSC-USP). Secondo il fisico, l’irradiazione a raggi X e gamma rende le ossa umane leggermente magnetiche, è il fenomeno del paramagnetismo. Le ossa contengono un minerale chiamato idrossiapatite che, una volta irradiato, produce CO2 i cui livelli possono essere rintracciati all’interno del minerale. I radicali liberi risultanti possono quindi essere utilizzati per misurare la dose di radiazioni nell’osso.
Inizialmente, la tecnica di Mascarenhas era vista come un nuovo strumento per datare le ossa dai siti archeologici in base alla quantità di radiazioni che avevano ricevuto da elementi come il torio. Un giorno, tuttavia, fu invitato a testare la sua tecnica sui resti di persone provenienti dall’esplosione di Hiroshima. Sfortunatamente, all’epoca la sua analisi era troppo rudimentale,. Decenni dopo, Angela Kinoshita di Universidade do Sagrado Coração, nello stato di San Paolo, insieme ai colleghi, ha utilizzato le computer avanzati per applicare il metodo. La distribuzione della dose corrispondeva a quella che si trova in diversi materiali intorno a Hiroshima, inclusi mattoni e tegole.
“C’erano seri dubbi sulla fattibilità dell’uso di questa metodologia per determinare la dose di radiazioni depositata in questi campioni. I risultati confermano la fattibilità e aprono varie possibilità per ricerche future che potrebbero chiarire i dettagli dell’attacco nucleare” spiega Kinoshita.
I risultati sono stati pubblicati su PlosOne.
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Francesca Mancuso