Guerra in Ucraina e crisi climatica: la lucidissima analisi di Noam Chomsky che tutti dovrebbero leggere

In un'interessante intervista Chomsky condanna l’attacco del Cremlino nei confronti dell’Ucraina ma offre una lettura di come le guerre (inclusa questa) e la crisi climatica siano connesse. Questa odierna potrebbe non essere l’ultima poiché uno dei beni più importanti di domani non sarà il petrolio ma le riserve naturali che non basteranno per tutti

Se l’invasione ordinata da Putin ai danni dell’Ucraina è da condannare, Noam Chomsky offre una lettura più ampia di questa guerra che da 30 giorni sta sfibrando gli ucraini e ha prodotto oltre 2 milioni di profughi che cercano una salvezza lontano dalle bombe:

Dovremmo fare tutto il possibile per offrire un sostegno significativo a coloro che difendono valorosamente la loro patria contro crudeli aggressori, a coloro che fuggono dagli orrori, e alle migliaia di russi coraggiosi che si oppongono pubblicamente al crimine del loro Stato (…) E dovremmo anche cercare di trovare il modo di aiutare una categoria molto più ampia di vittime: l’insieme della vita sulla Terra.

Emergenze e autosufficienza della transizione ecologica

Dopo i primi giorni di questa aggressione armata sono saltate subito agli occhi le prime conseguenze globali sul livello pratico: i mercati sono impazziti, la speculazione nel settore dei carburanti ha fatto schizzare alle stelle il prezzo di gasolio e benzina, il prezzo degli alimenti è iniziato a salire e il rischio di approvvigionamenti per il prossimo inverno sono argomenti di discussione e confronti tra associazioni di categoria e governanti a livello nazionale e comunitario. La necessità di una veloce e efficace transizione ecologica è balzata in testa ai bisogni dei vari Paesi assieme alla corsa all’autosufficienza. O almeno alla non totale dipendenza da un singolo Paese. Passaggi fondamentali ma non privi di difficoltà poiché sono costosi. Per usare ancora le parole di Chomsky:

Tutte le grandi potenze, anzi tutti noi, dobbiamo lavorare insieme per controllare il grande flagello della distruzione ambientale che sta già esigendo un tributo gravoso, presto destinato a peggiorare considerevolmente, a meno che non vengano intrapresi rapidamente grandi sforzi.

Riscaldamento e l’utilizzo dei combustibili fossili

L’emergenza ha fatto tornare in auge l’idea di non sbarazzarsi più dei combustibili fossili ma di continuare a usarli, come prima soluzione emergenziale, perché lo scoppio della guerra ha allineato tutti i Paesi sulla necessità e sul ritardo verso la transizione ecologica come da anni viene sottolineato in più e più occasioni.

I paesi potrebbero essere così consumati dall’immediato divario di approvvigionamento di combustibili fossili da trascurare o mettere in ginocchio le politiche per ridurre l’uso di combustibili fossili … Questa è una follia.

A dichiararlo è il Segretario generale dell’Onu António Guterres in occasione di un recente panel organizzato dall’Economist. Questa guerra, oltre all’orrore che porta sul piano umano e umanitario, ha evidenziato come il ritardo nel contrasto al riscaldamento globale oggi potrebbe rendere ancora più complesso l’obiettivo di limitare le temperature globali a 1,5 °C sopra i livelli preindustriali come fissato durante la COP26 di pochi mesi fa.

L’interdipendenza tra clima, ecosistema, biodiversità, società dell’uomo moderno

A dare forza alle dichiarazioni di Guterres c’è anche il corposo studio prodotto dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che ha stilato il rapporto dal titolo Cambiamenti climatici 2022: impatti, adattamento e vulnerabilità che riconosce l’interdipendenza tra clima, ecosistemi, biodiversità, e le società umane. La valutazione degli impatti e dei rischi del cambiamento climatico è contrapposta alle tendenze globali che si sviluppano contemporaneamente, delle vere e proprie minacce, come la perdita di biodiversità e consumo definito “insostenibile” delle risorse naturali che comporta e comporterà cambiamenti demografici, disuguaglianze sociali ed economiche.

L’acqua una risorsa che potrebbe venire a mancare molto presto

Uno studio pubblicato su Nature Climate Change riporta come vaste aree dell’Europa settentrionale e della Siberia occidentale (circa il 75%) potrebbero diventare “climaticamente inadatte”. Ma uno degli elementi che potrebbe diventare particolarmente prezioso per la sua crescente scarsità è l’acqua potabile e il cambiamento climatico potrebbe indurre il maturare di conflitti vasti per accaparrarsi quante più quote possibili di un bene universale. Dal 2020 l’acqua dolce è quotata in borsa con un titolo ad hoc che permette di acquistare, in California, dei features in modo da assicurarsi questo bene in domani, quando sarà scarso.

Water Conflict, è già una realtà

In alcune aree del mondo non piove da tempo immemore, le terre diventano inospitali e questo potrebbe produrre esodi di grandi dimensioni per la sopravvivenza. In altre ancora l’acqua è già diventato un asset da colpire per impoverire il nemico. Basta andare sulla piattaforma Water Conflict Chronolgy per avere un quadro della situazione. Non solo i conflitti per l’acqua sono una roba antica come il mondo ma dall’inizio del 2022 sono almeno tre i contesti in cui si sono verificati: alcuni aerei russi hanno aerei da guerra attaccato una stazione idrica vicino a Idlib in Siria; in Mali delle milizie hanno attaccato dei villaggi distruggendo le infrastrutture legate all’approvvigionamento dell’acqua; una cisterna d’acqua è stata attaccata dalle milizie di Al Shabaab in Somalia, uccidendo e ferendo le persone che hanno incontrato sul sito.

L’acqua è il nuovo oro blu e la stiamo dispendendo. Ma stiamo già pagando il prezzo del ritardo in materia di cambiamento climatico a livello più generale e non si può continuare a far finta di niente come ancora Chomsky puntualizza:

Una congiuntura più grottesca potrebbe difficilmente essere escogitata da un demone malevolo. Non può essere ignorata. Ogni momento conta.

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Fonte: Truthout.org / Water Conflict ChronologyRapporto IPCC / Nature climate change

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