Il giornalismo italiano, a tutti i livelli, sta mostrando in questi giorni il suo lato peggiore, salendo sul piedistallo e prendendosi il diritto di giudicare e condannare secondo percorsi diversi da quelli della "vera" giustizia
Data in pasto alla gogna mediatica, di lei si sa tutto – nome, cognome, professione, indirizzo di casa, circolano persino le sue fotografie: in poche parole, innocente o colpevole, la sua reputazione è compromessa per sempre. Il verdetto emesso: condannata, in quanto donna.
Nelle ultime ore sta dando scalpore la vicenda della preside di un istituto superiore, che avrebbe avuto una relazione con uno studente della sua scuola. Non si tratta di uno stupro, ma di una (ancora presunta) relazione fisica fra due persone, a quanto pare adulte e consenzienti. Il giovane, infatti, non ha denunciato una violenza, e per la Procura che sta indagando non ci sarebbe reato.
Non entreremo qui nel merito della vicenda, ma del livello di informazione inqualificabile che abbiamo raggiunto non possiamo fare a meno di parlarne, perché molte, troppe testate si sono permesse di mandare al patibolo questa preside, mostrando a tutti la sua identità e giudicandone impietosamente la condotta.
Solo qualche settimana fa è avvenuto un caso analogo per molti versi, ma rovesciato nelle posizioni. Anche in questa vicenda siamo in una scuola superiore, in un piccolo comune della Calabria, e alcune alunne denunciano un loro professore (uomo!) per molestie ed avances (senza nessun consenso). Ebbene, la Procura ha tenuto il “massimo riserbo” sulle indagini, del professore indagato non sono state fornite informazioni – né nome, né foto, neppure la materia insegnata.
La storia si è risolta con una piccola mobilitazione (i ragazzi hanno occupato la scuola in segno di solidarietà verso le studentesse molestate) e con qualche riga nella cronaca locale. Non sappiamo come sia finita la vicenda, né se il professore abbia effettivamente subito un provvedimento disciplinare – potrebbe anche non essergli successo niente, non ce ne stupiremmo.
Per la preside romana, invece, l’atteggiamento mediatico è stato molto diverso: si è voluto insistere sulla sua persona, sul suo ruolo istituzionale e sull’atteggiamento avuto nei confronti dello studente (maggiorenne e di cui non conosciamo l’identità), e lo si è fatto con cattiveria, consapevoli di usare violenza verso una donna che, ora, non può più sperare nella difesa di nessuno.
Così, la gogna mediatica innescata dai giornali ha già stabilito la sua colpevolezza, facendo carta straccia di qualsiasi regola deontologica. Tutti noi abbiamo una responsabilità enorme, perché questo tipo di giornalismo sta producendo gli effetti che conosciamo sulla nostra società. Gli stessi (anche peggiori) che abbiamo messo sotto i riflettori per Carol Maltesi. Ancora una narrazione tossica. Ancora sciacallaggio davvero inqualificabile.
Per non parlare della diffusione di messaggi audio e registrazioni delle conversazioni avvenute fra i due, date in pasto ai giornali e ribalzate su tutte le testate, piccole e grandi. Oggi è prevista la visita di ispettori nell’istituto, gli unici deputati a fare chiarezza sull’accaduto. Speriamo sia messa la parola “fine” a questa orribile vicenda.
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