Nella Tigray, nel nord dell'Etiopia, si sta consumando un vero e proprio genocidio di massa, aggravato da crisi climatica e cavallette
Nella regione del Tigray, nel nord dell’Etiopia, la situazione è drammatica dal punto di vista umanitario e della sicurezza. Tanto da poterlo considerare un vero e proprio genocidio di massa per la popolazione. Ma in pochi ne parlano e il mondo sembra essersi dimenticato di questa sofferenza, aggravata da crisi climatica e cavallette
Sono particolarmente a rischio le aree rurali dove parte della popolazione è stata costretta a migrare in conseguenza del conflitto armato. Oltre 60.000 persone sono fuggite in Sudan, perlopiù cristiani. Questa guerra fratricida, che contrappone le forze federali a quelle regionali nella presunta difesa dell’unità nazionale contro spinte centrifughe, sta provocando una catastrofe umanitaria, nonostante a fine novembre 2020 siano state formalmente interrotte le operazioni militari.
Il conflitto in corso nella regione etiope del Tigray ha portato insicurezza alimentare, violenza e morte, aggravate dalle periodiche catastrofi ambientali, dalla penuria del raccolto stagionale, dall’invasione delle locuste del deserto e dalla pandemia da COVID-19. Inoltre, nella regione aumentano i casi di molestie e abusi sessuali e non sono rari i casi di stupro da parte di “uomini in uniforme”, militari che violentano le donne in cambio di beni essenziali.
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Privati o con limitato accesso a cibo, acqua potabile, medicinali, servizi igienici, carburante e ad altri servizi e beni essenziali, i civili sono allo stremo, non sanno dove trovare riparo, subiscono saccheggi e muoiono sotto le bombe, vittime di deliberati attacchi militari.
L’intervento militare delle forze federali
Nel novembre 2020, le forze federali etiopi hanno effettuato bombardamenti indiscriminati nelle aree urbane della regione del Tigray, in aperta violazione delle leggi di guerra. Gli attacchi di artiglieria condotti all’inizio del conflitto armato hanno colpito abitazioni, ospedali, scuole e mercati nelle città di Makallé (la capitale della regione), Humera e Shire, uccidendo almeno 83 civili, inclusi bambini, e ferendone oltre 300.
Lo scorso 4 novembre, l’esercito etiope fedele ad governo di Addis Abeba ha avviato le operazioni militari nella regione settentrionale del Tigray in risposta a ciò che il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, ha definito come attacchi contro le forze e le basi federali da parte delle forze affiliate al Tigray People’s Liberation Front (TPLF), il partito al potere nella regione. La cosiddetta law enforcement operation è terminata il 28 novembre 2020 con la presa della capitale regionale Makallé, ma la guerra continua.
Il presidente etiope, alla guida del paese dal 2 aprile 2018, vuole smantellare la leadership del TPLF e si oppone ad altri gruppi federalisti, considerati fuorilegge. Dall’inizio del suo mandato, ha deciso di porre fine al sistema costituzionale basato sul federalismo etnico e ora non accetta mediazioni, nemmeno internazionali, per risolvere il conflitto, che va avanti ad oltranza.
L’emergenza umanitaria
Case, scuole, attività commerciali e infrastrutture sono state gravemente danneggiate dal conflitto, determinando anche l’interruzione dei servizi medici e di primo soccorso. Circa 2.3 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari. Al febbraio 2021, oltre 200.000 persone sono diventate sfollati interni (IDPs), mentre altre decine di migliaia, con un ritmo di circa 4.000 persone al giorno, hanno varcato il confine per stabilirsi nel vicino Sudan, paese a maggioranza musulmana. Preoccupa anche la condizione dei circa 96.000 rifugiati eritrei ospitati in diversi campi della regione, molti dei quali risultano gravemente danneggiati. Circa 15.000-20.000 rifugiati eritrei risultano dispersi, secondo quanto rilevato dall’UNHCR.
Come osservato dall’ONG Human Rights Watch, tutte le parti coinvolte nel conflitto dovrebbero consentire il libero ingresso delle agenzie umanitarie e garantire che le strutture sanitarie possano funzionare adeguatamente. Inoltre, dovrebbe essere totalmente ripristinato l’accesso ai servizi bancari e ai canali di telecomunicazione.
Si chiede che l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani provveda ad inviare una squadra per verificare le condizioni in cui versa la regione del Tigray, per indagare sulle presunte violazioni delle leggi di guerra in quella zona e per assicurarsi che le prove e le testimonianze degli abusi siano preservate.