Il programma, in onda su Rai Tre per quattro lunedì, ha come obiettivo quello di illuminare il percorso buio di chi prova ad uscire dal tunnel dei disturbi alimentari
I disturbi alimentari sono più diffusi di quello che si pensa, mentre attorno ad essi regna ancora un silenzio fatto di imbarazzo e tabù. Soffrire di un DCA, avere un rapporto malato con il cibo, mortificare il proprio corpo con digiuni o abbuffate dolorose, sono comportamenti troppo spesso taciuti, nascosti in una società dell’apparenza che ci vuole sempre belli, magri e in forma.
Il programma di Rai Tre “Fame d’amore”, condotto da Francesca Fialdini e onda ogni lunedì in seconda serata, prova a squarciare il velo dell’indifferenza e a far luce su anoressia, bulimia, obesità, binge eating. Quattro puntate che raccontano storie vere di giovani alle prese con un rapporto sbagliato con l’alimentazione e con il proprio corpo.
Le storie sono narrate in maniera empatica, senza giudizio e senza condanna verso chi è affetto da questi disturbi, ma allo stesso tempo senza rinunciare alla scientificità della diagnosi e al parere di esperti di questo settore – per dimostrare a chi ancora non ci crede che i disturbi alimentari sono delle vere e proprie malattie, e non semplici capricci di chi non vuole mangiare o di chi, al contrario, è troppo goloso.
I DCA sono l’espressione visibile e concreta di malesseri dell’anima, lo sfogo di tanti traumi subiti, la risposta all’emarginazione e all’isolamento sociale (acuiti dai pesanti mesi della pandemia appena trascorsi), quel perverso senso di inferiorità al confronto con modelli irraggiungibili perché falsati dal filtro dei social network. Sono un male che si insinua in maniera subdola, che nelle prime fasi non desta neanche preoccupazione – e che per questo viene troppo spesso sottovalutato in mancanza di evidenze concrete.
Il programma, che ha vinto con le precedenti edizioni anche prestigiosi premi televisivi come il Premio Moige e il Premio Agnes, prova a mostrare che dai disturbi alimentari si può uscire – facendosi aiutare dalle persone giuste (ovvero dagli specialisti) e prendendo consapevolezza di avere un problema. Lo spettatore seguirà il percorso di questi giovani, vedrà i loro sforzi e assisterà ai cambiamenti all’interno delle loro famiglie.
Diversi sono i protagonisti del programma: certamente i giovani pazienti, ma anche i loro fratelli e sorelle, i solo genitori, i compagni di scuola, gli amici e, in ultimo, i terapeuti e gli psicologi che tendono una mano in direzione del pozzo nero in cui si è caduti – non certamente il cibo, che in questo contesto non ha funzione di alimento, ma serve solo a farsi del male.
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Fonte: Ufficio Stampa Rai
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