Il dramma delle donne costrette a subire mutilazioni genitali in Sudan per fingere di essere vergini prima del matrimonio.
Il fenomeno delle mutilazioni genitali purtroppo è ancora molto diffuso in numerosi paesi, soprattutto dell’Africa, e com’è noto le prime “operazioni” vengono eseguite in tenera età, provocando indicibile dolore. “Prime” perché spesso non sono le uniche nel corso della vita di queste donne. Al momento del matrimonio, per paura di ritorsioni da parte dei futuri mariti, esse sono costrette a mutilarsi di nuovo, per fingersi illibate qualora abbiano avuto rapporti sessuali pre-matrimoniali, assolutamente malvisti.
Succede in Sudan, come in altri paesi, dove la verginità femminile è considerata una virtù e le donne che non la preservano per il futuro consorte vengono giudicate impure e guardate con diffidenza e sospetto da parte dei locali.
C’è persino un termine che le identifica, “qulfa“, che fa riferimento al loro comportamento vergognoso agli occhi della società. Termine a cui l’Unicef, impegnata da tempo in Sudan per favorire un cambiamento di mentalità, ha cercato di contrapporre quello di “saleema“, che significa “integra, intatta, sana, incolume“, per indicare le donne che non hanno subito mutilazioni e che, non per questo, sono meno degne di rispetto.
Mutilazione genitale femminile: quanto è diffusa in Sudan e in cosa consiste
La mutilazione genitale femminile, o MGF, consiste nel taglio o nella rimozione deliberata dei genitali femminili esterni. Oltre alla rimozione o al taglio delle labbra e del clitoride, frequentemente l’apertura vaginale viene cucita, la cosiddetta infibulazione, che si sfalda quando la donna fa sesso.
In Sudan la pratica è molto comune, basti pensare che l’87% delle donne dai 15 ai 49 anni, secondo quanto riporta l’Unicef, sono state sottoposte a qualche forma di MGF da bambine e poi, spesso, anche da adulte prima del matrimonio.
Perché si fa? Per essere accettate socialmente, per motivi religiosi, per dimostrare di essere vergini quando ci si sposa.
Esistono vari tipi di mutilazione:
- clitoridectomia, rimozione parziale o totale del clitoride e della pelle circostante;
- escissione, rimozione parziale o totale del clitoride e delle piccole labbra;
- infibulazione, il taglio o il riposizionamento delle labbra grandi e piccole, seguito dalla cucitura della vulva, lasciando solo una piccola apertura;
- tutti gli altri tipi di mutilazione quali perforazione, incisione, raschiatura e cauterizzazione del clitoride o dell’area genitale.
Un’altra pratica diffusa, sempre per chi è in procinto di sposarsi, è l’imenenoplastica, che serve a ricostruite l’imene per recuperare la verginità dopo aver avuto rapporti sessuali. In questo modo ci si assicura la possibilità di avere un marito, e di non essere ripudiate per la propria “promiscuità“.
Tutte queste pratiche sono proibite dal Consiglio medico sudanese e per questo non possono essere eseguite in ospedale, sebbene ci sia comunque personale che accetta di operare le donne.
Dal 2008, per porre fine alle MGF pre-matrimoniali, e anche a quelle infantili, è nato il programma Saleema, sostenuto dalle Nazioni Unite, nella speranza di favorire un cambiamento di mentalità, cosa non semplice dato che molti uomini pretendono ancora che le loro donne siano vergini.
Purtroppo il Sudan non è l’unico paese dove le MGF sono diffuse, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) “sono tra 100 e 140 milioni le bambine, ragazze e donne nel mondo che hanno subito una forma di mutilazione genitale.”
Ma per fortuna la mentalità sta pian piano cambiando anche qui, Nahid Toubia, fondatrice dell’iniziativa An Lan, gruppo che lavora per sradicare le MGF in Sudan, afferma infatti che le giovani donne di oggi sono “molto avanti” rispetto ai loro genitori:
“Sono in un momento di conflitto – sentono di avere il diritto di fare sesso, ma devono anche arrendersi quando si sottopongono a una nuova sutura vaginale o indossano l’hijab [un tipo di velo musulmano per le donne]”.
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