La giustizia climatica vista dalle donne. La storia di Maria Lopez-Nuñez, attivista statunitense impegnata nella battaglia per il clima.
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Da ogni angolo del mondo, le donne chiedono giustizia climatica e ambientale e lottano da decenni per perseguire il difficile ma ambizioso obiettivo di tutelare e proteggere gli ecosistemi e tutti gli esseri, viventi e non, che abitano il nostro pianeta, per scongiurare l’attuale crisi ecologica globale.
Tra di esse, le attiviste del clima sono impegnate in prima linea e ricoprono ruoli di leadership in numerose organizzazioni per il clima. Oggi vogliamo parlare di Maria Lopez-Nuñez, ambientalista americana che incarna un ecofemminismo militante.
È innegabile che oggi, in gran parte delle società contemporanee, le donne e le ragazze siano particolarmente vulnerabili di fronte all’impatto negativo dei cambiamenti climatici.
Di fronte a un tale scenario, Mary Robinson — ex presidente dell’Irlanda (prima donna del suo paese ad essere eletta presidente nel 1990) e Alto Commissario Onu per i diritti umani — ritiene che la reale tragedia a cui l’intero pianeta sta assistendo a causa del riscaldamento globale sia un problema antropogenico essenzialmente causato dall’uomo; pertanto, richiederebbe una soluzione femminile (e possibilmente femminista).
Il clima che colpisce le donne
All’interno delle singole comunità sociali, i tradizionali ruoli di cura e assistenza generalmente associati alle donne, talvolta oppresse, subordinate, svuotate di diritti, ma allo stesso tempo responsabili di fornire cibo, garantire salute e sicurezza e di venire incontro alle incombenti necessità familiari, costringono le donne più degli uomini a fuggire o a trasferirsi forzatamente quando l’accesso alle risorse naturali viene minato da inondazioni, siccità e altri eventi meteorologici estremi legati ai cambiamenti climatici.
Secondo quanto rilevato dalle statistiche Onu, le donne costituirebbero infatti ben l’80% dei rifugiati climatici.
Dunque, i disastri ambientali dovuti ad eventi climatici e meteorologici estremi (terremoti, uragani, ecc.), in parte determinati da insostenibili comportamenti umani, non colpiscono tutti gli individui allo stesso modo. Ogni volta che questi violenti e drammatici eventi naturali spazzano via abitazioni e infrastrutture, creano anche disoccupazione e le donne (e in particolar modo le donne single) di ogni società del mondo ne patiscono maggiormente le nefaste conseguenze.
Le spesso precarie condizioni socio-economiche delle donne le espongono a situazioni di endemica povertà in caso di gravi disastri ambientali; ciò avviene non solo nelle più remote aree rurali del mondo, ma anche nei grandi centri urbani.
Inoltre, le donne sono ancora piuttosto sottorappresentate (la loro presenza è inferiore al 30% del totale) nei principali organismi che si occupano di governance del clima a livello sia nazionale che internazionale.
Donne e ambientalismo
Nonostante le storiche discriminazioni da sopportare, le donne sono sempre state alla guida del movimento ambientalista e di quello per la giustizia climatica e tentano ancora oggi di offrire soluzioni e proposte per affrontare e superare l’attuale crisi ecologica.
Nella storia del movimento ambientalista, in effetti, le donne sin dall’inizio hanno ricoperto ruoli di spicco. Anche prima degli anni Sessanta, quando Rachel Carson (1907-1964) con la sua fondamentale opera Silent Spring (“Primavera silenziosa”) (1962) ha lanciato l’allarme sulla contaminazione di terreni, fiumi, mari e l’intossicazione di bovini a causa dell’uso del DDT e dei pesticidi in agricoltura, donne come la dottoressa Rebecca Cole (1846-1922) seconda donna afroamericana ad esercitare la professione di medico negli Stati Uniti nel 1867, si occupavano di simili questioni.
Le sue ricerche la condussero a scoprire il fenomeno del cd. razzismo ambientale. Per Cole, le condizioni ambientali in cui versavano le città statunitensi avrebbero avuto ripercussioni negative maggiori sui neri rispetto ai bianchi perché i proprietari bianchi li costringevano a vivere in condizioni precarie e malsane.
Cole è altresì annoverata tra le prime pioniere donne che hanno contribuito a spostare l’attenzione degli ambientalisti da un miope approccio conservazionista, focalizzato sull’esclusiva protezione dei luoghi incontaminati e selvaggi e della fauna selvatica, ad un paradigma ecologista più ampio e completo, in grado di estendere il concetto di ambiente a qualsiasi luogo del mondo abitato da esseri viventi e non.
L’attivismo di Maria Lopez-Nuñez
Ciò premesso, cosa accade oggi nel mondo della lotta climatica declinata al femminile? Quello che è certo è che le donne continuano a voler cambiare il mondo e non si arrendono di fronte alla crisi ecologica globale.
Maria Lopez-Nuñez, cittadina statunitense originaria dell’Honduras, vice-direttrice dell’advocacy e dell’organizzazione per la Ironbound Community Corporation (ICC), con sede a Newark (New Jersey, USA), è una giovane leader attiva nella globale battaglia sul clima, ma lavora quotidianamente per realizzare un radicale cambiamento di valori, principi, comportamenti, leggi e politiche pubbliche nella comunità locale in cui vive.
Risiede in uno dei quartieri più tossici e inquinati della sua città, un quartiere di Newark popolato in gran parte da neri e latinos e da tempo interessato da un graduale processo di gentrificazione.
I suoi interessi e ambiti di azione sono molteplici, dalle lotte contro gli inceneritori a fianco dell’ICC alle altre numerose battaglie nell’ambito della giustizia ambientale e razziale, dell’immigrazione e dell’edilizia sociale.
Ad esempio, Lopez-Nuñez ha contribuito alla realizzazione di iniziative legislative di portata sia municipale che statale, quali il Right to Council, il Civilian Complaint Review Board (CCRB) e l’Environmental Justice Cumulative Impacts Bill.
In particolare, il Right to Council — ordinanza emessa nel dicembre 2018 grazie al sostegno del sindaco di Newark, Ras Baraka — è uno strumento di straordinaria importanza per i residenti meno abbienti (con reddito pari o inferiore al 200% della soglia di povertà federale) poiché garantisce l’accesso gratuito all’assistenza legale alle persone con basso reddito che debbano subire uno sfratto.
Più di recente, Maria è entrata a far parte di un progetto di assistenza e cura per i bambini e per le loro famiglie in difficoltà, costrette allo sfratto sotto la pressione della pandemia da Covid-19 (Compassionate New Jersey).
Degno di nota è, in sintesi, il suo tentativo di collegare l’ingiustizia ambientale all’ingiustizia socio-economica. A suo parere, le ingiustizie ambientali non farebbero altro che alimentare e amplificare le ingiustizie di genere e razziali, e viceversa. Ogni tentativo di combattere sistemi sociali razzisti e sessisti è quindi anche un modo per rifondare una società giusta, equa, civile, democratica, ecologicamente sana e socialmente pacificata.
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