Diritto all’aborto negato, cos’è la Roe vs Wade e perché siamo tornati indietro di 50 anni (e non solo negli Stati Uniti)

In USA l’aborto è legale a livello federale grazie alla sentenza Roe v. Wade del ’73, ma in definitiva non è mai esistita una legge unica che ne regolasse le modalità in ogni Stato. Alla Roe v. Wade proprio la Corte Suprema si è appellata innumerevoli volte e un’ulteriore sentenza del 1992 stabiliva il diritto ad abortire fino al momento in cui il feto può sopravvivere da solo fuori dall’utero, generalmente considerato attorno alle 24 settimane. Ma ora le cose sono ulteriormente cambiate e la libertà di scelta delle donne americane non è più tutelata a livello federale

Se ne parla tantissimo in queste ultime ore, dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che l’aborto non è un diritto espresso dalla Costituzione. Ma che cos’è nello specifico la Roe vs Wade che è stata ribaltata?

Nel gennaio del 1973 fu proprio questa sentenza, la “Roe vs Wade”, quella con cui la Corte Suprema statunitense cambiò di fatto la legislazione sull’aborto, stabilendo il diritto delle donne di interrompere per qualunque motivo la gravidanza.

La sentenza arrivò dopo che il caso fu portato nel 1970 in tribunale da un gruppo di avvocate che aveva preso in carico il caso di Jane Roe (pseudonimo di Norma McCorvey e nome scelto per tutelarne allora la privacy), una ragazza della Louisiana per metà nativa americana che a 16 anni aveva sposato un uomo violento e che, dopo aver avuto due figli, non voleva mettere al mondo il terzo. Henry Wade era invece l’avvocato che rappresentava invece il Texas nel processo.

La causa ebbe termine 2 anni dopo: alla Corte Suprema venne chiesto di stabilire se la Costituzione Usa riconoscesse o meno il diritto all’aborto anche in assenza di problemi di salute della donna, del feto o di altre problematiche non legate alla semplice volontà di interrompere la gravidanza.

La pronuncia dei giudici arrivò a maggioranza nella storica data del 22 gennaio ‘73 quando, sull’interpretazione del XIV emendamento, si stabilì il diritto alla privacy inteso come diritto alla libera scelta di ciò che attiene alla sfera più intima dell’individuo e dunque anche alla scelta di avere o meno un bambino.

Quella sentenza rese legale a livello federale il diritto all’aborto per la donna come libera scelta personale. Prima di allora, in almeno 30 Stati a stelle e strisce l’aborto era considerato un reato di common law, constatato su tutti i precedenti giurisprudenziali e non sui codici. In soli quattro Stati bastava la richiesta della donna.

Per mezzo secolo quella pronuncia è stata un caposaldo del movimento abortista contro comunque un grossissimo sottobosco pro-vita statunitense che per anni ha voluto abbatterla. Ed eccola qui, la sentenza della Corte Suprema che minaccia di far tornare gli Stati Uniti indietro di 50 anni, in cui le donne non hanno più la libertà di abortire perché “l’aborto presenta una profonda questione morale. E la Costituzione non conferisce il diritto all’aborto”.

Come si legge sul Financial Times, la sentenza avrà un impatto grande soprattutto sui destini delle 36 milioni di donne che vivono nei 13 “Red States”, quelli a guida repubblicana, e in base a quella ogni federato repubblicano potrà allinearsi al precedente del Mississipi e adottare la propria legge in tema di interruzione di gravidanza, in assenza di misure costituzionali.

La decisione della Corte, insomma, probabilmente porterà metà degli Stati americani ad agire immediatamente per vietare l’aborto, costringendo le persone a viaggiare per migliaia di chilometri per accedere alle cure per l’aborto o a portare a termine una gravidanza contro la loro volontà, in grave violazione dei diritti umani.

mappa aborto

©FT

Un enorme passo indietro che dalla “democrazia più grande del mondo” rischia di ripercuotersi sul resto del mondo occidentale e la cui portata la si può capire da questo grafico creato dal Center For Reproductive Rights per conto del FT: con la pronuncia della Corta Suprema, in almeno un quinto degli USA le donne godranno di meno diritti legali sui propri organi riproduttivi rispetto alle donne di alcuni Stati africani, come Angola, Ciad e Burkina Faso.

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Fonte: FC / Center For Reproductive Rights 

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