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La legge contro omotransfobia, misoginia e abilismo è stata calendarizzata in Commissione Giustizia al Senato. Ora può iniziare la discussione anche in questo ramo del Parlamento, per l’approvazione definitiva. (Leggi: Sbloccata la Legge Zan! Il ddl viene calendarizzato in Senato). Ma in cosa consiste esattamente? E perché è rimasto bloccato a lungo, sollevando non poche polemiche? Perché divide fortemente i suoi sostenitori e i suoi detrattori? Ecco il Ddl Zan spiegato bene, punto per punto.
In Italia non esiste una legge ad hoc contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo, che punisca le discriminazioni, gli atti di violenza e i discorsi di odio per motivi di genere, identità di genere, orientamento sessuale e disabilità. Ora, con il disegno di legge Zan, che prende il nome dal suo relatore, Alessandro Zan, deputato del Partito democratico (PD), il nostro paese potrebbe averne una.
Ma la questione non è così semplice…
Il codice penale italiano punisce i reati e i discorsi di odio fondati su caratteristiche come la nazionalità, l’etnia o la religione. Tuttavia, la novità legislativa è che il contestato ddl Zan, con la modifica degli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale su propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa, a questi motivi aggiunge quelli fondati sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.
Le pene previste in caso di violazione della legge sono: la reclusione fino a un anno e 6 mesi (ovvero una multa fino a 6.000 euro) per chi istiga o commette tali atti di discriminazione; fino ai 4 anni di reclusione per chi partecipa o favorisce le organizzazioni, le associazioni, i movimenti e i gruppi che hanno come obiettivo primario (o includono tra gli scopi del proprio gruppo) l’incitamento alla discriminazione o alla violenza fondati su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità.
Le modifiche richieste
Il ddl Zan va ad estendere la portata della normativa già esistente sui reati d’odio ad attacchi e comportamenti dovuti all’orientamento sessuale, al genere e all’identità di genere, disponendo altresì modifiche:
(1) al decreto-legge 26 aprile 1993, numero 122 (noto come legge Mancino) che punisce l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o di nazionalità, aggiungendo al reato di discriminazione per motivi «razziali, etnici o religiosi» anche quelli fondati «sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere»;
(2) all’articolo 90-quater del codice di procedura penale, a cui aggiunge le parole «fondato sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere» (l’attuale articolo prevede solo la fattispecie dell’odio razziale) e nel quale riconosce i membri della comunità lgbtq come persone “vulnerabili” e, di conseguenza, potenziali vittime;
(3) al decreto legislativo 9 luglio 2003, numero 215 sulla parità di trattamento tra gli individui indipendentemente dal colore della pelle e dall’origine etnica. Il ddl Zan vi introduce alcune misure di prevenzione e contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
La sintesi, articolo per articolo
Il ddl Zan è composto da 10 articoli. I primi sei riguardano l’ambito penale (artt. 1-6) e gli altri quattro (artt.7-10) le azioni positive da mettere in campo contro le discriminazioni per motivazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
L’articolo 1 esordisce con le definizioni terminologiche: sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere. L’inserimento dell’art 1. (Definizioni) è stato sollecitato dalla Commissione Affari Costituzionali per evitare l’insorgere di eventuali ipotesi di incostituzionalità della legge.
Gli artt. 2 e 3, che rappresentano il fulcro normativo della legge, apportano le modifiche, rispettivamente, agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale.
L’articolo 2 inserisce il sesso, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità di genere e la disabilità tra i moventi dei reati annoverati dall’articolo 604-bis del codice penale, diretto a tutelare il rispetto della dignità umana e del principio di uguaglianza sostanziale. Viene pertanto punita qualsiasi condotta di istigazione o commissione di discriminazione o violenza per motivi etnici, razziali o religiosi, oppure «fondati sul sesso, sul genere, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o sulla disabilità».
In particolare, così come già previsto per le altre fattispecie considerate dalla disposizione (per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi), chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione fondati sul sesso, genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità è punito con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro.
Inoltre, chi istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Si noti che la proposta di legge approvata alla Camera non ha modificato la parte del 604-bis lettera a) del codice penale relativo al reato di propaganda, che attualmente punisce solo la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico.
L’articolo 3, prevedendo la modifica dell’art. 604-ter del codice penale, stabilisce che la circostanza aggravante ivi prevista venga estesa ai reati commessi in ragione del sesso, del genere, dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere o la disabilità della vittima. Aggravante che comporta, per i reati punibili con la pena diversa da quella dell’ergastolo, l’aumento della pena fino alla metà.
L’articolo 4 è dedicato alla salvaguardia del “pluralismo delle idee e libertà delle scelte”, per cui “sono fatte salve (e non più “consentite” come nella precedente versione) la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, (e completato con la seguente integrazione, assente nella prima stesura) “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
L’introduzione di questo articolo è una scelta di natura squisitamente politica e non tecnica.
L’articolo 5 estende e modifica le pene accessorie nei casi di condanna in base agli art. 604-bis e 604-ter codice penale (per discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità). Esso prevede la possibilità della sospensione condizionale della pena per i condannati per uno dei delitti indicati al comma 1-bis — e sospensione del procedimento con messa alla prova per gli imputati che ne facciano richiesta — subordinati, rispettivamente, ad attività non retribuita in favore della collettività per finalità sociali o al lavoro di pubblica utilità.
L’articolo 6 modifica l’articolo 90-quater, co. 1, del codice di procedura penale. Esso prevede che la valutazione della condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa possa essere ricollegabile al fatto di essere stata vittima di reati motivati dal sesso, dal genere, dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere.
Il riconoscimento di tale condizione attribuisce alla persona offesa maggiori tutele in sede processuale. In particolare, l’art. 134 c.p.p. consente la riproduzione delle dichiarazioni della persona offesa che versa in condizione di particolare vulnerabilità.
L’articolo 7 istituisce la data del 17 maggio come “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, finalizzata alla promozione della cultura del rispetto e dell’inclusione nonché per contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei principi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione.
Le iniziative extracurriculari possono essere realizzate nelle scuole, previo consenso dei genitori degli alunni, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa previsto dalla legge n.10 del 2015.
L’articolo 8 prevede le modifiche al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
L’UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) è incaricato di elaborare, “con cadenza triennale, una strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere. La strategia reca la definizione degli obiettivi e l’individuazione di misure relative all’educazione e istruzione, al lavoro, alla sicurezza, anche con riferimento alla situazione carceraria, alla comunicazione e ai media. La strategia è elaborata nel quadro di una consultazione permanente delle amministrazioni locali, delle organizzazioni di categoria e delle associazioni che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni e della promozione della parità di trattamento e individua specifici interventi volti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni di violenza e discriminazione fondati sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.” (co. 2-bis).
L’articolo 9 prevede le misure per la prevenzione e il contrasto della violenza per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere e per il sostegno alle vittime, interviene nel programma per la realizzazione in tutto il territorio nazionale di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere, istituito con un fondo di 4 milioni di euro (per ogni anno) già definitamente approvato al senato.
L’articolo 10 richiede all’ISTAT (sentito l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori -OSCAD) una rilevazione statistica, con cadenza almeno triennale, sugli orientamenti della popolazione in tema di omotransfobia, misoginia e disabilità, previa raccolta dei dati relativi alla discriminazione e alla violenza non solo per motivazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere, ma anche per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
In particolare, la suddetta rilevazione dovrà misurare le discriminazioni e la violenza subite e le caratteristiche dei soggetti più esposti al rischio.
Interventi educativo-sociali
Il disegno di legge Zan affianca al tradizionale principio repressivo e retributivo quello rieducativo-formativo: la proposta di legge prevede infatti lo stanziamento di 4 milioni di euro per attività di sensibilizzazione nelle scuole e un piano triennale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni elaborato dal Dipartimento delle pari opportunità. Su tutto il territorio nazionale, poi, sarebbe incentivata la creazione di centri contro le discriminazioni, volti a garantire assistenza legale, sanitaria e psicologica alle vittime di violenza.
È inoltre significativo, come già sottolineato, che l’articolo 7 del ddl Zan istituisca il 17 maggio come Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. Una simbolica occasione, da un lato, per promuovere il principio costituzionalmente garantito dell’uguaglianza e della pari dignità sociale (art. 3 Cost.), e, dall’altro, per ribadire l’importanza del rispetto della persona e dell’inclusione sociale, al fine di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.
La scelta di quella data non è casuale: essa celebra il 17 maggio 1990, un giorno di storica importanza per chi si batte contro le discriminazioni omofobe poiché coincide con la decisione di rimuovere l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie pubblicata dall’Oms.
Cenni storici e iter legislativo
Il primo tentativo di formulare una legge contro l’omofobia in Italia risale al 1996. Nichi Vendola, all’epoca deputato di Rifondazione comunista, aveva presentato una proposta di legge, che rimase lettera morta e non fu mai approvata. Dal 1993, vi sono stati simili (ma falliti) tentativi di riforma della legge Mancino per consentire l’introduzione dei reati di omofobia, come avvenuto nel 2013 con la proposta di legge presentata da Ivan Scalfarotto, Alessandro Zan e altri deputati.
Adesso ci riprova il deputato Zan, con un ddl approvato in prima lettura alla Camera con 265 voti a favore e 193 contrari. Tuttavia, senza la discussione e l’approvazione in Senato, il testo non può diventare legge dello Stato.
Nel testo del ddl Zan sono stati unificati cinque precedenti ddl a firma di Zan, Boldrini, Scalfarotto, Perantoni e Bartolozzi; a differenza di questi, però, il ddl Zan prevede una circostanza specifica per le discriminazioni rivolte contro persone omosessuali e transessuali. Infatti, come già accennato, al generico divieto di discriminazione già punito dalla legge Mancino (per motivi “razziali, etnici o religiosi”) vengono aggiunti quelli fondati “sul genere e sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.”.
Il percorso del disegno di legge ha avuto inizio nel 2018; è stato presentato il 2 maggio 2018 e assegnato alla II Commissione Giustizia in sede referente il 7 ottobre 2019.
In prima lettura alla Camera, il ddl Zan ha superato l’esame in Commissione (conclusosi il 30 luglio 2020) e la discussione in Assemblea, dove il 4 novembre 2020 il testo unificato è stato approvato a maggioranza dei votanti.
Resta la seconda lettura in Senato, dove il testo, trasmesso il 5 novembre 2020, si è impantanato. Ora però la sua calendarizzazione è passata con 13 voti contro 11 no, ma ancora non risulta fissata una data. La commissione ha votato anche una serie di provvedimenti da calendarizzare per i quali verrà stabilito il calendario dei lavori.
Ddl contestato a destra (e anche da alcune femministe)
#Omotransfobia, il #DDLZan resta fermo al palo: che cosa è successo e quali sono gli ostacoli?
Lo abbiamo chiesto all'autore @ZanAlessandro dei @Deputatipd https://t.co/v0Cieijrix
— Radio Radicale (@RadioRadicale) April 15, 2021
I motivi alla base dei ripetuti ritardi nell’ultimo passaggio parlamentare, cioè dello “stallo” in Senato, sono di carattere etico e politico-ideologico più che procedimentale.
Evidente l’ostruzionismo di Lega e Fratelli d’Italia — sostenuti da forze ultracattoliche guidate dal senatore leghista Simone Pillon e dalla Chiesa cattolica tramite la Cei— che la ritengono una “legge liberticida” e un “bavaglio alla libertà di espressione”; a loro avviso, non è affatto necessaria una legge ad hoc che colpisca nello specifico i responsabili di atti e manifestazioni violente e discriminatorie fondate sull’identità sessuale e di genere, poiché è sufficiente la tutela offerta dalla sovracitata legge Mancino.
Anche alcune attiviste femministe hanno invitato i legislatori a riflettere sulla terminologia adoperata nel testo del ddl Zan, nel timore che essa possa suscitare “ambiguità”. Organizzazioni femministe, tra cui RadFem Italia, SeNonOraQuandoLibere, Arcilesbica e Udi, hanno chiesto di emendare il testo.
Per alcune esponenti del femminismo, l’uso della categoria di “identità di genere” minaccia il sesso biologico, aprendo a una fluidità di identificazioni “e cancellando il corpo con cui siamo nate”.
A questo proposito — scrive Se non ora quando? — ” serve a nostro avviso un po’ di chiarezza”.
La campagna social pro-ddl Zan
Invece, sui social media, personaggi famosi, quali artisti e influencer, hanno postato immagini in cui mostrano la mano con su scritto “Ddl Zan” e hanno lanciato l’hashtag #diamociunamano, a sostegno dell’approvazione in Senato del ddl Zan.
Combattere l’omobitransfobia di oggi e collaborare tutti insieme per un domani più civile #diamociunamano #DDLZan #omotransfobia pic.twitter.com/5N9kkEMgX3
— vladimir luxuria (@vladiluxuria) April 16, 2021
Fonti: Camera.it/Gazzetta Ufficiale/Arcigay
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