Crescono le spese militari in Italia: investire nelle armi (e non in salute e ambiente) è un cattivo affare anche per l’economia

Le spese destinate dall'Italia alle armi sono da capogiro: così stiamo sostenendo le guerre e alimentando lo sfruttamento di fonti fossili, invece di sostenere settori come la sanità e l'ambiente. Eppure, investire in questi ambiti darebbe un enorme slancio socioeconomico al nostro Paese

Ogni cittadino dei Paesi NATO dell’UE ha sborsato ben 508 euro nel 2023 per sostenere le spese militari, mentre un decennio fa ne spendeva 330. Nel corso di questo arco di tempo gli investimenti delle nazioni europee in armi sono cresciute quattordici volte più del loro Pil complessivo.

Invece di impegnarsi per la transizione ecologica, tutelare la salute e sostenere la cultura, l’Europa sta finanziando le guerre che dice di ripudiare, ma soltanto a parole. Il budget italiano destinato a questo settore è inquietante: negli ultimi 10 anni si è passati da 2,5 miliardi di euro a 5,9 miliardi, come denuncia il report “Arming Europe” commissionato dagli uffici nazionali di Greenpeace Italia, Germania e Spagna.

report spese militari

@Greenpeace

Nonostante le difficoltà delle finanze pubbliche e la crisi provocata dalla pandemia di Covid-19, la spesa militare è andata a lievitare con un ritmo senza precedenti in Italia, togliendo risorse alla spesa sociale e ambientale. Nel periodo 2013-2023, i fondi destinati alle armi sono aumentati del 30%, mentre per la sanità l’incremento è stato del’11%, per l’istruzione appena del 3% e per la protezione ambientale del 6%.

Il problema non è soltanto di natura etica, visto che in questo modo si penalizzano la cittadinanza e i nostri ecosistemi e si diventa complici dell’orrore in varie parti del mondo, in cui ci vanno spesso di mezzo civili innocenti. Finanziare la guerra non aiuta affatto l’economia del nostro Paese.

Come chiarito nel report di Greenpeace, applicando la metodologia Input-Output – che analizza gli effetti sulla domanda nazionale diretta e indiretta attivata da una spesa pubblica iniziale – emerge, infatti, che l’acquisto di armi ha un effetto moltiplicatore sul resto delle attività economiche nettamente inferiore a quello degli investimenti nei settori ambientale, sanitario e dell’istruzione.

Perché finanziare la guerra non ci conviene affatto

In Italia, 1.000 milioni di euro spesi in armamenti mettono in moto un aumento della produzione interna di soli 741 milioni di euro, mentre la stessa cifra investita per istruzione, welfare e protezione ambientale avrebbe un effetto quasi doppio, con un aumento della produzione pari a 1.900 milioni di euro nella protezione ambientale, 1.562 milioni di euro nella sanità e 1.254 milioni di euro nell’istruzione.

spese militari italia

@Greenpeace

Ma non solo. Sostenere questi settori aiuterebbe a combattere la piaga della disoccupazione. I 3.000 nuovi posti di lavoro creati dalla spesa per le armi arriverebbero a quasi 14.000 se la stessa cifra fosse investita nel settore dell’educazione, a più di 12.000 se investita in sanità e a quasi 10.000 nella difesa dell’ambiente. Insomma, finanziare le guerre non è affatto un buon affare per la nostra crescita socioeconomica, anzi.

La petizione per tagliare le spese militari

Continuare a investire nell’industria bellica è una pessima idea per troppi motivi. Per questo motivo Greenpeace ha lanciato una petizione online rivolta al governo italiano chiedendo di tagliare le spese militari, rinunciando all’obiettivo NATO del 2% del Pil e tassando gli extra profitti delle aziende della Difesa in modo da usare quei fondi per la lotta alla povertà e alla crisi climatica.

Per firmare CLICCA QUI.

Fonte: Greenpeace

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