Così la cura di sé è diventata la nuova forma di “fede” che ingabbia e narcotizza le donne

L’industria del benessere giura di offrire tutte le risposte che vogliamo per risolvere il nostro stress e dare un nome a tutti i nostri sintomi, ma, a ben guardare, mancano ancora i fondamenti di una vita realmente serena. Cosa è successo?

Quella “colata di colore” che ha inondato la mia chioma era proprio quello di cui avevo bisogno. Un castano tendente al mogano e, alla radice, una ricrescita che “si vedrà tra molto tempo”, insiste il tizio facendo strani giri di polpastrelli sulla mia testa. Né più chiaro né più scuro e, soprattutto, finalmente adatto al mio tipo di capello. Ovvio, poi, che sto capello lo devi curare con lo shampoo specifico, continua, e la maschera e la schiuma e l’accarezzamento con la spazzola dei mille miracoli.

Un pomeriggio di 4 anni fa la mia vita si è fermata per un attimo. Giusto il tempo di capire che dovevo correre a fare quanto meno un’ecografia per capire cosa fosse quella pallina, dura e immobile, che sentivo ogni volta che mi palpavo il seno. Il dottore che mi ha visitata mi ha dato una lista lunga così di esami da fare e si è congratulato con me che quella cosa, un carcinoma, l’avevamo presa giusto in tempo

Ed è così che mi sono ritrovata a sentir parlare di benessere. Laddove la medicina convenzionale alza le mani, l’industria della cura della persona è pronta ad accoglierti, ricca di risposte super ed effetti super. Così, dopo aver tolto lo sguardo dalla lista di analisi da fare e medici da vedere, ho trovato un mondo di soluzioni in attesa di essere messe in pratica sotto forma di terapie somatiche, istituti di bellezza, psicologi e pure nutrizionisti. Non avrebbero solo alleviato parecchie delle cose che mi crucciavano, ma avevano promesso il trattamento della causa principale e la completa remissione di ogni mio tipo di sofferenza.

Con integratori, polveri e consultazioni dirette – insieme a precise combinazioni di verdure, brodo e, ovviamente, consapevolezza e self control – avrei tenuto alla larga pensieri negativi e risolto molti dei disturbi che mi avrebbe provocato la terapia.

È l’industria del benessere che “raccoglie davvero le masse con certezza”, dice Rina Raphael, giornalista e autrice di The Gospel of Wellness.

Dicono: ‘Posso sicuramente aiutarti. Questo integratore curerà sicuramente i tuoi sintomi. Dovresti provare questa dieta. Ti libererà da tutto il tuo dolore.’ Questo è ciò che attira le persone e le aggancia.

Et voilà.

Oggi, quello del benessere rappresenta un settore vasto e sostanzialmente amorfo, che comprende di tutto, dalla dieta e fitness ai programmi di resilienza sul posto di lavoro, dalle flebo su misura alle creme per la pelle a base di CBD. È pieno di pratiche prese in prestito da tradizioni come lo yoga e l’ayurveda, che sono state riconfezionate per i consumatori per lo più benestanti.

Centra il punto Fariha Róisín, autrice di Who is Wellness For?, che afferma come tali pratiche siano diventate merce e come spesso vengano rinominate per oscurare le loro radici in altre culture che nemmeno ci piacerebbero. L’industria ostenta termini come autenticità, verità e significato ma, sostiene Róisín, questi sono in contrasto con le attività da cui dipendono (ad esempio, raramente si sente parlare della cultura dietro il rituale di meditazione mattutina e quasi mai del lavoro dietro la curcuma che tanto apprezziamo).

Secondo un rapporto del 2019 del Global Wellness Institute, il settore del benessere rappresenta un mercato da 4,4 trilioni di dollari, mentre un altro studio NielsenIQ del 2021 ha dichiarato che la salute e il benessere sono “la più potente forza del consumatore”.

Rina Raphael scrive che essere sani una volta significava doverose visite dal medico, ma ora comporta una ricerca infinita per superare la malattia, la tristezza, lo stress e persino la morte. “Il benessere”, dice, “è quasi un’ossessione ambiziosa per alcuni e vicino al dogma religioso per altri”.

Eppure, indica una tensione di fondo: nonostante spendiamo un patrimonio ricercando il “benessere”, gli indici di buona salute si bloccano. L’aspettativa di vita si riduce e spesso si muore per patologie evitabili o curabili.

Come siamo finiti a questo punto?

Siamo diventati ossessionati dalla cura di sé, ma probabilmente mancano ancora i fondamenti del benessere. Allora come siamo finiti in questa situazione difficile? Una risposta sta nelle esigenze della vita moderna che, secondo la valutazione di Raphael, si ripercuotono con particolare forza sulle donne e scaricano ulteriori oneri a seconda della razza, della classe e della sessualità.

Le donne americane, fa un esempio, sono per la maggior parte magre, ma, rispetto agli uomini, riferiscono livelli più elevati di stress, ansia, depressione e burnout. E poi ci sono le pressioni familiari per migliorare il corpo, irradiare equilibrio, padroneggiare gli impulsi (fame, rabbia) e perfezionare le contorsioni richieste dai mille ruoli che ricopriamo. Non c’è da meravigliarsi, in questo campo dalle aspettative sproporzionate, che il benessere abbia trovato un mercato proprio pronto tra le donne.

Raphael, inoltre, sostiene che il benessere sia diventato una nuova forma di fede. Mentre la religione si ritira dalla vita quotidiana, il benessere si è precipitato a riempire il vuoto.

Fornisce appartenenza, identità, significato, comunità. Queste sono tutte le cose che le persone trovavano nella chiesa o nella sinagoga del loro quartiere. Il benessere offre una sorta di salvezza all’orizzonte. Offre anche l’illusione del controllo e dell’empowerment. Se lavori abbastanza duro e compri le cose giuste, sarai salvato dalle malattie, dall’invecchiamento e da qualsiasi cosa brutta ti accada, dice Raphael.

Secondo una statistica molto diffusa, i determinanti sociali della salute – fattori come la qualità dell’aria, la sicurezza domestica, il sostegno della comunità e l’accesso all’istruzione – rappresentano fino all’80% dei risultati sanitari. Ma queste realtà sono state nettamente cancellate dalla maggior parte del marketing del benessere.

Il benessere è sempre presente nelle vite vissute sempre più in crisi – scrive Colleen Derkatch nel suo libro Why Wellness Sells. Il benessere presenta i mali sociali collettivi come problemi che l’individuo deve risolvere attraverso un’alchimia del comportamento del consumatore. Aderire a un sindacato offrirebbe probabilmente maggiori vantaggi rispetto al download di un’altra app di meditazione, ma il mercato del benessere presenta quest’ultima come una soluzione logica allo stress legato al lavoro e al deterioramento della salute mentale.

Stiamo sedando le donne con una cura di sé consumistica. La realtà, probabilmente, è non siamo stressati non perché non facciamo abbastanza yoga, ma perché c’è ben altro. È quanto è vero? Dai social media e dalle riviste siamo bombardati da messaggi che ci ingiungono di “prenderci cura”, di onorare il nostro benessere, ma anche di usare “trucchi” per aumentare la nostra produttività e il nostro umore.

Tutto ciò che riguarda il linguaggio del benessere è progettato per spingere le linee di meta sempre più fuori portata – spiega Derkatch, professore di retorica alla Toronto Metropolitan University. Non arrivi mai a un punto in cui pensi: ‘Oh, ora sto bene’. C’è sempre qualcos’altro che potremmo fare. Di conseguenza, non c’è un luogo di riposo perché non possiamo mai ripristinare completamente ciò che è stato perso, e c’è sempre un maggiore stato di miglioramento da raggiungere.

Forse, se vogliamo abbracciare un benessere in senso stretto, dovremmo cominciare ad abbandonare l’idea che dovremmo sempre essere in forma e di sforzarci per esserlo. Forse è molto più salutare stabilire aspettative ragionevoli ed entrare realmente in contatto con altri, affrontare e discutere, per bandire una volta per tutte quel senso di impotenza isolata.

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