La condanna dell’Italia ribadisce che le carceri non sono un luogo di cura per i pazienti psichiatrici

La CEDU ha condannato l'Italia per maltrattamenti su un giovane detenuto affetto da gravi problemi psichiatrici

La CEDU ha condannato l’Italia per maltrattamenti su un giovane detenuto affetto da problemi psichiatrici. Una condanna che ci ricorda che il carcere ordinario non può essere adeguato per i soggetti malati. Almeno non in un Paese che si definisce civile

Era stato rinchiuso in un carcere ordinario, nonostante sia i tribunali italiani che la CEDU (Corte europea dei diritti umani) avessero specificato che quel tipo di detenzione era incompatibile con la sua condizione e chiesto il trasferimento in una struttura più adeguata con problemi psichiatrici. Questa è la storia di Giacomo Seydou Sy, un detenuto italiano classe 1994 (nipote del celebre attore Kim Rossi Stuart), affetto da bipolarismo e disturbi della personalità, arrestato e incarcerato nel 2018 nella prigione romana di Rebibbia. Per i trattamenti inumani e degradanti che gli sono stati riservati l’Italia è stata condannata dalla CEDU. E adesso lo Stato dovrà versare un risarcimento di 36.400 euro per danni morali al 28enne.

La vicenda

Il giovane Giacomo Seydou Sy viene arrestato nell’estate del 2018 per furto, molestie nei confronti dell’ex compagna e resistenza alle forze dell’ordine. Nonostante le sue condizioni di salute siano conosciute e non compatibili con il carcere ordinario, il ragazzo viene posto in detenzione preventiva nella prigione di Rebibbia invece che in una struttura in cui avrebbe potuto ricevere cure adeguate, ad esempio un REMS (Centro Residenziale per l’esecuzione delle misure preventive). Quando viene  poi condannato, il giudice dispone gli arresti domiciliari, ma il giovane li viola. Successivamente, nell’aprile del 2020 la Corte di Strasburgo chiede all’Italia di trasferirlo in luogo più adatto per i problemi psichiatrici di cui soffre. Ma ciò non avverrà mai. Motivo per cui è arrivata la dura condanna per il nostro Paese.

Una condanna che è un’importante lezione per l’Italia

L’Italia è stata, quindi, condannata dalla CEDU per la violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea, ovvero per trattamenti inumani e degradanti. Ma non solo. Così facendo il nostro Paese ha violato anche l’articolo 5 comma 1, che riguarda il periodo di detenzione illegittima;; l’articolo 5 comma 5, relativo al mancato riconoscimento del diritto al risarcimento; l’articolo 6 comma 1, che fa riferimento al diritto a un processo equo; e infine l’articolo 34, ovvero il diritto di ricorso individuale.

Con questa condanna esemplare viene ribadito un principio importantissimo su cui si fonda il Paese degno di essere definito civile: le carceri non sono adeguate per le persone che soffrono di problemi psichiatrici, che hanno bisogno di trattamenti mirati.

Non si può tenere una persona in carcere senza titolo, se il suo stato di salute è incompatibile con la detenzione e se ha bisogno di cure. – sottolinea Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si occupa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario – La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è solo uno dei tanti casi simili pendenti che riguardano la questione delle persone con patologie psichiatriche nel circuito penale. E’ un provvedimento importante, che non contiene solo la risoluzione di un singolo caso, ma dà indicazioni su un percorso che Governo e Parlamento devono seguire per evitare altre condanne e nuove violazioni dei diritti fondamentali.

È quindi fondamentale che i giudici e servizi di salute mentale si confrontino fin da subito per trovare soluzioni condivise e adeguate per i condannati affetti da disagi mentali.

Che non si verifichino mai più nel nostro Paese vicende vergognose come quella per cui siamo appena stati condannati.

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Fonti: CEDU/Associazione Antigone

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